
Non mi hanno mai convinto le liste dei buoni propositi, fin dai tempi in cui mentivo spudoratamente a Santa Lucia per farmi regalare pupazzetti dei Power Rangers a suon di “farò il bravo”, “studierò di più”, “quando sarò al governo eliminerò le accise” e “starò più attento al catechismo” (questa poi qualche anno dopo l’ho fatta davvero e sono diventato ateo nel giro di una domenica, ma non sono qui per dire che le religioni sfruttano la soglia di attenzione da molto prima di TikTok). Insomma, un conto è credere che una vecchia cieca passi la notte a infilarsi nelle canne fumarie con un asino carico di doni, un altro è scrivere le letterine con le promesse senza scoppiare a ridere, e se fai colazione con latte e Nesquik guardando i cartoni in TV è pure comprensibile, ma se consumi più Gaviscon che biscotti sei fuori tempo massimo.
È iniziato il 2025 e abbondano i “Da quest’anno…” seguiti da buoni propositi rivoluzionari come smettere di fumare, leggere almeno un libro a settimana, diventare vegani crudisti pentecostali, dare un taglio al porno hentai o riparare l’interruttore della luce della cantina che fa falso contatto dal giugno del ’93. Li vedo e li trovo insensati per due ragioni: la prima è che se sei adulto e vuoi fare una cosa la fai e basta; se hai bisogno di scriverla in una lista della spesa delle tue prossime virtù, o sei in trattativa con una martire portatrice di regali, o ti stai raccontando una cazzata. La seconda è che non ho mai subito l’effetto delle soglie temporali, anzi, non le ho proprio mai capite.
Non capisco perché le diete si iniziano il lunedì e non quando scopri che il rider di JustEat si è comprato casa con le tue mance; perché la vita nuova debba coincidere con l’anno nuovo e non con il giorno in cui scopri di farti schifo; perché la vita inizia a 40 anni (o 50, 60, 130, scegliete voi); perché si chiama “crisi del settimo anno” invece di “6 anni di nodi verso il pettine”, e non vado oltre perché questo è un blog satirico, non uno studio per terapia di coppia. So di essere io l’anomalia, mica voi che giurate “la pizza solo il sabato”, ma trovo ridicolo dare un significato mistico a qualcosa – come lo scandire del tempo – che ci siamo semplicemente inventati, e – di nuovo – non sono qui per dire che le religioni… Vabbè, avete capito.
Come se non bastasse, il 2025 si presta più di altri anni a questa manifestazione di autoconvincimento generalizzato: è il primo quarto di ventunesimo secolo, qualsiasi cosa significhi, è l’anno del primo giubileo della storia con mascotte orientali che infastidiscono Pillon – ma non sono qui per dire… Come sopra – e soprattutto il 2025 è l’anno in cui debutta la Generazione Beta, sulla quale, giacché siamo al quarto capoverso e ancora l’argomento del pezzo è lontano dal palesarsi, mi sembra giusto aggiungere una digressione. Tanto, onestamente, che altro avete da fare?
Generazione Beta, dicevamo, che succede alla ormai decaduta Generazione Alfa iniziata 15 anni fa, e io vorrei soffermarmi su quanto sia ridicolmente ironico che Alfa e Beta siano i nati nell’epoca col più alto tasso di analfabetismo dai tempi di Hammurabi, però se stiamo a fare le pulci alla logica non ne veniamo più fuori. La digressione qui è un’altra, e riguarda il metodo: passi la pratica inutile di denominare le generazioni, ma prima o poi qualcuno vi deve dire che creare sempre nuovi nomi è una delle più grosse stronzate da vecchi che non si arrendono alla vecchiaia mai viste, seconda solo ai cinquantenni che ti fanno l’elenco di quello che hanno bevuto al bar la sera prima.
Tornando alla nomenclatura delle generazioni, il punto è che non vanno cambiati i nomi, vanno traslati in avanti quelli già esistenti. Mantenere tutti i nomi vecchi e aggiungerne di nuovi è l’ultimo rifugio di chi rifiuta l’inevitabile: qualunque età abbiate oggi, e qualsiasi etichetta generazionale pensate di mantenere per sempre, prima o poi sarete i vecchi brontoloni che non capiscono la modernità e non stanno al passo. Già adesso lo siete, dato che ho appena superato le 700 parole e siete ancora qui a leggere. Rubando una battuta a Daniele Fabbri: io sono un Millennial e l’ho scoperto a quasi 40 anni, che a pensarci bene è un atteggiamento da boomer.
Il destino di ogni generazione è trasformarsi progressivamente nelle precedenti capendo sempre meno le successive. È così da quando gli australopitechi gattonavano urlando che la postura eretta era contronatura e che gli erectus erano mollaccioni che non avevano mai fatto la guerra; non c’è tecnologia, risveglio del punk o servizio di Studio Aperto sul linguaggio dei giovani che possa fermare o rallentare questo processo. Né Alfa né Beta vi salveranno dall’essere i boomer dei vostri nipoti, fatevene una ragione e piantatela di maltrattare lettere greche.
Detto ciò, arriviamo al perché io stia vomitando bile sugli aficionados delle soglie temporali e sui propositi di inizio anno: tutta questa premessa fatta di relativismo e affermazione della logica di fronte a innocue pratiche di costume, naturalmente, ha la sola funzione di essere smentita: il primo pezzo del 2025 mi serve per fare un breve bilancio di questo blog e dichiarare i propositi da quarto di secolo di un millennial fuori tempo massimo che sente nelle ossa l’avvicinarsi della deprimente soglia degli “anta”.
Se seguite ciò che scrivo su queste pagine virtuali – so che ci siete e non so se ringraziarvi di cuore o preoccuparmi seriamente per la vostra salute mentale – vi sarete accorti che alterno periodi di pubblicazioni regolari ad altri di completa latitanza; per quanto lo spirito del blog sia di scrivere quando ho qualcosa da dire e non per timbrare un cartellino, dichiaro qui e ora che il primo proposito del 2025 è il mantenimento di una pubblicazione regolare con un minimo di 2 pezzi a settimana a cadenza fissa. Conto realisticamente di smentirmi entro febbraio, ma giuro solennemente di (non) avere buone intenzioni.
Il secondo proposito – che già da ora sta prendendo le sembianze dell’unico che sopravviverà all’inverno – è quello di scrivere, in aggiunta ai soliti sproloqui da mille parole, anche alcuni pezzi più brevi. L’idea è quella di affidare a una dimensione maggiormente sintetica gli scritti più legati alla strettissima attualità, e mollare le redini su argomenti che non smettono di esistere dopo il quarto d’ora di viralità che non si nega a nessuno. Naturalmente è tutto ancora nella mia testa, e prima che il gallo canti tre volte avrò negato di aver mai fatto un proposito del genere, ma per ora ci credo e si accettano suggerimenti per un nome da dare alla sezione per pezzi brevi. Fatevi avanti, nessun nome può essere peggiore di quelli che ho pensato finora, credetemi.
Il terzo e ultimo proposito è forse quello a cui tengo di più, ma è anche quello più complicato: Plautocrazia è nato sì dalla mia esigenza di scrivere, ma anche e soprattutto dal desiderio di tradurre la scrittura in un modo per riprendere quel posto dietro al microfono di cui mi sono innamorato anni fa e che non mi ha mai abbandonato. La sezione Podcast di questo blog è stata presente dal primo giorno, per quanto desolatamente vuota; credo i tempi siano maturi per riempirla, e negli ultimi mesi ho messo a punto un’idea che conto di mandare in porto entro l’anno. Per ora è un cantiere aperto senza nulla di realmente definitivo, e potrebbe essermi utile (oltre a farmi enormemente piacere) se qualcuno di voi masochisti perditempo dai gusti opinabili che siete arrivati fin qui si offrisse volontario per qualsiasi tipo di aggiustamento e/o collaborazione, o anche soltanto per ascoltare eventuali episodi semilavorati e darmi opinioni spietate; fatemelo sapere, se vi va. Potrebbe finire tutto in un nulla di fatto, ma – come diceva quello – ho buone prospettive per il futuro.
Ehi, ora che ci penso… Buon anno!





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