
Nell’abnorme bagaglio di inutilità a cui faccio riferimento ogni volta che l’attualità mi dà un senso di déjà-vu, torna spesso un aneddoto non mio, ma abbastanza vecchio e sentito raccontare di persona da esserlo praticamente diventato. Anni fa, durante un’escursione in montagna, un gruppetto di amici ha teso una sorta di agguato a una marmotta particolarmente sprovveduta. Troppo distante dalla sua tana, e accerchiata con formazione a due pinze e una tenaglia, la povera marmotta se ne stava impettita su una roccia senza sapere come uscirne. Prima della tentata cattura – poi sfumata per ovvie ragioni di disparità atletica uomo-marmotta – qualcuno (forse il Barbagli) se ne è uscito con la frase “è una marmotta senza piano B”, da quel giorno diventata frase in codice per identificare sprovveduti di ogni sorta che, trovandosi nel merdone, non possono far altro che tenere una posa tronfia e sperare di cavarsela.
Mi è tornata in mente negli scorsi giorni, quella povera marmotta, mentre seguivo l’ennesimo tentativo di un roditore ottuso membro del governo di schivare critiche ingrossando inutilmente il petto. Stavolta ad impettirsi sul ghiaione è stata addirittura la capo-marmotta, la quale, avendo usato in questi due anni l’intero comparto delle battute di Alvaro Vitali e alcuni aforismi suggeriti da Gasparri, si trova ora nella scomodissima condizione di affrontare la pioggia di critiche, le diagnosi implacabili dell’idraulico e l’esistenza della logica aristotelica con un repertorio ridotto a fischi acuti e goffi tentativi di spaventare i predatori gonfiando la pelliccia.
Il governo ha in canna una finanziaria sanguinolenta che pare ideata da Edward mani di forbice dopo un’indigestione di peyote, incombono le elezioni regionali in quell’Emilia-Romagna che mentre aspettava fondi per la ricostruzione mai arrivati ha fatto in tempo a beccarsi una nuova alluvione, gli italiani hanno cominciato a chiedere finanziamenti per comprare l’olio extravergine al supermercato, il “modello Albania” ha raggiunto il livello delle barzellette sui carabinieri e, come se non bastasse, il suo parrucchiere ha già tutti i weekend prenotati fino a Natale. Insomma, Sora Giorgia si trova ad affrontare il periodo politico più difficile della storia d’Italia, o comunque il più teso dai tempi in cui al bar sotto casa mia avevano finito le Goleador alla coca-cola.
Per sua fortuna può contare su una squadra solida, tecnica, sicura dei propri mezzi e con una grande visione di insieme, che non si fa mai sorprendere da inchieste giornalistiche o avvenenti collaboratrici, né tantomeno cede a gaffe ridicole, reazioni infantili alle critiche o alla satira, terminologia da ventennio, minacce alla libertà di espressione, dichiarazioni eversive contro la separazione dei poteri o altri atteggiamenti che potrebbero ledere la fulgida reputazione del governo dei patrioti. Ah no, scusate, sto scrivendo anche un docufilm sulla Family di Charles Manson e devo aver scambiato le bozze.
Comunque, il nostro presidente del consiglio cerca di barcamenarsi tra tutti i terribili attacchi della lobby frocio-trotskista che trama nell’ombra per farle fare brutta figura ai brunch diplomatici, e qualche giorno fa, forse confondendo gli “Appunti di Giorgia” con la Smemo della figlia, ha dichiarato urbi et orbi che lei e il suo governo lavorano anche con la febbre, mica come i suoi oppositori di sinistra che mangiano caviale, schioccano la lingua e si allisciano la barba. Il fatto che, un paio di giorni prima, fosse stata proprio lei a rinviare un teso incontro coi sindacati adducendo un’influenza, sarebbe di per sé una smentita della dichiarazione stessa, ma si sa che la logica è affare da comunisti, perciò di lì a poco l’intera curva della Lazio destra di governo è accorsa, Arianna Meloni in testa, a battere i tamburi e cantare cori sostenere con forza le ragioni della premier.
La sorella della premier poi ci ha tenuto a specificare, dati alla mano, che la prode Giorgia fa il suo lavoro anche con la febbre oltre i 38, mentre la sinistra a 37.2 si mette in mutua. Se ho capito come funziona, il prossimo motivo di vanto delle Sorelle Bandiera sarà “Noi abbiamo il diario delle Winx, a sinistra usano le agende omaggio delle banche”, e avrei pure da ridire sugli appellativi maschili pretesi da una che con 38 di febbre non chiama il prete per l’estrema unzione, ma per una volta vorrei andare oltre gli stereotipi di genere e il trito infantilismo di gente che occupa lo scranno di Fanfani senza essere colta da ischemie. Per una volta vorrei posare il rasoio di Hanlon e fingere che dietro alle palesi stronzate di una marmotta istituzionale senza piano B ci sia davvero la convinzione che lavorare con la febbre sia un valore.
Ho una brutta notizia per tutti voi che per non farvi dare dei mollaccioni dal capufficio buttate giù Tachipirine come fossero pistacchi: non c’è nessun vanto nel lavorare da malati. Non è sintomo di dedizione e nobile sacrificio; è sintomo di totale incapacità gestionale di chi organizza il lavoro; è sintomo di pressapochismo e pianificazione inesistente; soprattutto, è una retorica cretina che premia i mediocri a danno dei competenti, campando sulle spalle di chi sta alla base della piramide. È – tanto per non mancare neppure oggi di rivendicare le ragioni del marxismo – lo strumento con cui il capitalismo scarica la responsabilità dei ruoli gestionali in mano a padroni incapaci sui lavoratori, colpevoli di “non sacrificarsi abbastanza” se scelgono di curarsi la bronchite invece di presentarsi al tornio con le bombole dell’ossigeno.
Ho scritto questo concetto un paio di giorni fa su Twitter, attirando le ire dei soliti ultrà della premier che ogni visigoto ci invidia, un discreto sottobosco di lavoratori offesi convinti ce l’avessi con loro (dei fallimenti della scuola dell’obbligo ne parliamo un’altra volta), e l’immancabile popolo delle Partite IVA. Questi ultimi si sono riversati in massa nei commenti – per poi abbozzare insulti e lancio di escrementi alla mia obiezione sull’affidabilità di un libero professionista che per 2 giorni senza fatturare è costretto a mangiare alla mensa della Caritas – con frasi del tipo “io non ho la malattia pagata”, “se non lavoro non guadagno”, “se parli così sei di sicuro uno statale” e altre brillantissime prese di posizione copiate dai monologhi del Gabibbo.
Il punto però – rivoluzione proletaria e elettricisti con costumi bizzarri a parte – è che dovunque ci sia un lavoratore che non può permettersi 2 giorni di malattia c’è una lacuna organizzativa, piccola o grande che sia, comprensibile o meno, ma che rimane comunque sbagliata, a prescindere dalla dedizione dei lavoratori. Lo è nei piccoli uffici di provincia, lo è sui cantieri delle grandi opere, e lo è con maggior gravità nelle parole di una marmotta spaurita presidente del consiglio, il cui mestiere dovrebbe essere proprio pianificare i lavori considerando eventuali imprevisti, e non rimanere impettita sulla roccia col petto gonfio di fronte al più banale di essi.
Il punto, volendo andare oltre la Meloni e il suo talento per la cioccolateria, è che la retorica del lavoratore indefesso è l’argomento principe degli incompetenti di ogni sorta; l’ultima risorsa dei pressapochisti che navigano a vista, non certo un vanto per talentuosi manager. La colonnina di mercurio sventolata come un merito è fatalismo degli scarsi: mentre i competenti pianificano per non farsi trovare impreparati, gli scarsi maledicono la cattiva sorte e, sorpresi dalla diarrea come Maria Antonietta dallo sciopero dei fornai, non trovano nulla di meglio del rivendicare con orgoglio i giorni in ufficio col pannolone.
Alla luce di tutto ciò – che è pura e semplice realtà fattuale, posate il cartone delle uova – vorrei fare un piccolo riassunto delle giornate appena trascorse: a Bologna la polizia prende ordini dai fascisti in corteo, il governo è uscito livido e imbizzarrito dall’incontro coi sindacati (che alla fine c’è stato; miracoli della Tachimissina 1000, mica paracetamolo generico), il 100% dei trattenimenti di migranti in Albania è fallito miseramente, un vicepremier obeso va in giro a dire che bisogna chiudere i centri sociali, i treni devono partire con un’ora di anticipo per arrivare in orario, il primo partito di governo dichiara pubblicamente che la criminalità è colpa degli scrittori sotto scorta e gli insegnanti vengono sospesi per aver osato criticare il ministro.
Se questi sono i risultati del lavoro con la febbre, cara imperatrice del ghiaione alpino, forse sarebbe il caso che se ne stesse a riposo qualche giorno e la smettesse di vantare pannoloni sporchi e emorroidi da stress. E che per la prossima fuoriuscita dalla tana si procurasse un piano B degno, non dico di una presidente del consiglio, ma almeno di una marmotta fuori convalescenza.






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