Sesso, droga e minestrina

Di punk pucciosi, rapper feriti da tutte ‘sti signure ‘ncravattate e bisogno di adulti

È terminata l’edizione più moscia e prevedibile di Sanremo degli ultimi anni, e forse la noia è anche un po’ colpa mia, che quest’anno avevo deciso di tornare ad antichi fasti e pubblicare un pezzo ironico per ogni serata del Festival, causando così una nuvola fantozziana di tedio e piattume così pesante da farci concentrare per giorni su un attore hollywoodiano coinvolto in una gag pensata male e realizzata peggio, un paio di strafalcioni e gente immeritatamente in alta classifica. Il tutto, al solito, vissuto con l’enfasi dello scandalo indicibile e mai visto; come se 41 anni fa “Vacanze romane” non fosse arrivata quarta laddove “Vita spericolata” fece quell’altra fine; come se Baudo non avesse interrotto l’esibizione di Louis Armstrong nel ’68; come se Povia non avesse vinto promettendo solidarietà mai fatta e Bonolis non avesse chiesto a Will Smith di leggere il testo di Prisencolinensinainciusol. Piattume, appunto, che è anche un po’ colpa mia e della mia fantozzianeria. Scusatemi.

È terminata la 74° edizione, dicevo, e l’unico aspetto su cui credo valga la pena scrivere sia una sensazione trasversale che mi ha accompagnato per queste 5 serate: quanto sono teneri questi giovani artisti? Quanto sono buoni, impegnati e puccettosi? Quanto sono politicamente corretti e sensibili? Tutti a salutare la mamma, a chiedere “basta bombe per favore”, a dedicare le esibizioni all’insegnante di solfeggio che ha creduto in loro a 5 anni, a commuoversi per un applauso, a piangere per qualche fischio e a raccontare di quella volta che con i primi soldi fatti con la loro musica da gangsta rapper hanno ricomprato a Geppetto il suo unico cappotto che aveva venduto per comprar loro l’abbecedario. Quanta tenerezza.

È quasi l’una di notte di sabato quando sul palco dell’Ariston salgono i La Sad con tutto l’armamentario di capelli fosforescenti, ferramenta del discount e Zigulì rubate di nascosto dall’armadietto di Marky Ramone, ma nessuno si domanda perché lo stesso teatro che urlò “Scemo! Scemo!” a Brian Molko per un amplificatore sfasciato con una Stratocaster nel lontano 2001 avesse fino a quel momento acclamato quei tre, e nemmeno perché perfino il povero Lino Banfi – parlandone da sveglio – era sicurissimo di non potersi aspettare, lì in prima fila, di vederli fare nulla di più folle del bere l’acqua frizzante fredda da frigo o urlare “Viva la mamma”.

A fugare ogni eventuale dubbio sulla pucciosità totalmente innocua dei bimbi vestiti da punk ci pensa uno dei tre – non mi si chieda quale – che guarda Amadeus e, con l’enfasi di quello che sta per raccontare di aver pisciato nell’acquasantiera del Papa durante un’orgia segreta con dei cardinali vestiti da pokémon, urla: “Guarda, mi sono tatuato per te” e mostra alla telecamera il dorso della mano decorato dalla faccia di Amadeus fatta coi trasferelli. I punk coi trasferelli. A questo punto è meglio la dottrina nazional-socialista, Drugo. Insomma, il tatuato a noleggio e gli altri due fanno la loro esibizione senza interrompere la fase R.E.M. di Lino Banfi, e alla fine srotolano un pezzo di stoffa. Per un attimo ho sperato ci fosse scritta almeno una bestemmia, un 666, una poesia di Ungaretti, un argomento a piacere, e invece no: era la loro bandiera che rappresenta i valori umani e la lotta contro ogni forma di cose brutte bruttissime che mi raccomando non si fanno altrimenti Gesù piange.

La stessa sera, e la sera prima, e quella prima ancora, e quella prima ancora (se ha vinto una canzone che parla di noia, un motivo ci sarà) Big Mama e la sua stazza che bisogna guardare ma non nominare avevano fatto dediche lanciando appelli della profondità di “Alla comunità queer, amatevi liberamente, potete farlo” o “A tutti gli insicuri, credete in voi stessi”. E che, non gliela fai la standing ovation, a una che non sa che ci si può amare liberamente anche senza un’etichetta che faccia trend e nemmeno che gli insicuri che credono in loro stessi sono il profilo dei serial killer? Certo che la fai, altrimenti Gesù piange. Standing ovation e plauso dei social, che comunque baratterebbero serenamente la libertà sessuale di chiunque per qualche punto bonus al Fantasanremo.

Già, il Fantasanremo. Gente adulta, pure con decenni di gloriosa carriera alle spalle, che per una settimana fa in continuazione gesti senza senso, che oltretutto spezzano qualsiasi ritmo televisivo, sul palco più importante d’Italia; il tutto per far guadagnare punti di un gioco online – gioco che ha smesso di aver senso mezz’ora dopo essere stato scoperto dalla gente – a una platea di esagitati, pure con decenni di vita e titoli di studio alle spalle, che la mattina dopo si mandano gli screenshot dei punteggi su WhatsApp con la stessa puntualità e fierezza dei buongiornissimi caffè coi glitter di mia zia su Facebook. E poi discettiamo dello squallore di John Travolta che balla il ballo del qua qua con Fiorello.

Ma lasciamo perdere la logica e i miei travasi di bile e torniamo alle anime fragili degli artisti in gara. Come non parlare di Sangiovanni, che all’inizio della serata finale scopre di essere ultimo in classifica, la prende peggio di Calenda all’elezione del caposcala del condominio e se ne esce 5 ore dopo – in luogo dei più classici ringraziamenti a orchestra, musicisti e tecnici vari post esibizione – con un discorso sulle posizioni di classifica che non contano, e sono stato primo ma anche ultimo, e io credo in questa canzone perché è sincera, e ci ho messo tutto me stesso, e migliorerò, e altri brillantissimi appigli che chiunque di noi ha provato a inventare portando a casa un 3 nell’interrogazione di matematica. Povero piccolo, che fai, non lo applaudi a scena aperta per evitare che corra in camerino a scriversi “Tenco” sul braccio con l’Uniposca?

Ha solo 21 anni, d’altra parte; in alcuni posti sarebbe già nonno, ma da noi è ancora un cucciolo da proteggere. E poi è un cantante che canta i sentimenti, è ovvio che sia sensibile, non è mica Geolier; quello è un rapper che fa brutto tipo Tupac, viene dalla strada, dai quartieri difficili che ti insegnano a combattere fin da piccolo e non aver paura di niente. Lui se ne fot… Ah, no. Lui ci rimane male se il pubblico fischia e se ne va dal teatro mentre torna sul palco a farsi premiare e ripetere il duetto più brutto della serata, e poverino, la sera successiva è amareggiato e impaurito, guardatelo come trema, povero soffice scugnizzo rapper.

Il pubblico è stato davvero insensibile a fare ciò che si è sempre fatto in ogni teatro, da che mondo è mondo, palesando un disappunto a cui Eminem avrebbe risposto urlando uno sticazzi freestyle di 28 battute prima di calarsi le mutande. Dovrebbero davvero vergognarsi ad aver fatto soffrire quel piccolo e indifeso batuffolo di insicurezze di Geolier. E vogliamo forse non parlare di quei cattivoni di Twitter? Quelle bestie di Satana, di fronte a un napoletano che vince grazie a un televoto palesemente drogato dal campanilismo, osano addirittura fare battute sulla camorra, senza capire il terribile trauma indelebile dell’essere preso in giro tramite un luogo comune su un social in cui tutti gli argomenti di discussione vanno in scadenza dopo 52 secondi e rimossi dalla memoria collettiva al quarto minuto.

Vi risparmio quello che deposita il bouquet sull’altalena, il bimbo che piange con Vecchioni, i testi cantati con l’asterisco e l’intero comparto defilippico dalla lacrima facile, ma di fronte a tutto questo anch’io sento di dover fare un appello che mai avrei sognato di fare: per favore, ridateci un Festival coi vecchi.

Ridateci Al Bano; ridateci la limpidezza di Orietta Berti senza accostarle il pupazzo trendy del momento; ridateci l’amore furioso di Cocciante; ridateci Iva Zanicchi, ridateci i Nomadi, ridateci Massimo Ranieri che a 72 anni non si lamenta della cervicale come Gazzelle; ridateci Zucchero e quelle cose col blues che sa fare lui; ridateci Masini e la sua rabbia che rifiuta appigli facili; ridateci Gianni Morandi che canta “La stessa nota, ra ta ta ta”; ridateci Morgan, che perlomeno si droga; ridateci la Vanoni e la sua padronanza della scena pure da imbalsamata; ridateci ora e per sempre Loredana Berté; ridateci la brunetta dei Ricchi e Poveri che non ha mai lamentato il trauma di essere identificata da un tratto estetico, perché quelli col talento non ne hanno bisogno; ridateci gli Stadio e le metafore al posto di queste desolanti similitudini.

Ridateci anche Gino Paoli, che mi provoca fastidio al solo nominarlo, rischia di dire boiate ogni volta che gli si apre il microfono e non sa più che giorno è dal marzo del ’91, ma se gli dite di fare mosse strane per il Fantasanremo vi manda giustamente a cagare.

Non abbiate paura che un undicenne vi chiami boomer, fate ciò che va fatto: piantatela di imbottire il festival di artisti dipendenti da statistiche di streaming e immagine social, e riportate i vecchi a Sanremo, che è un posto per adulti che scrivono canzoni da adulti, con profondità da adulti e anche con superficialità da adulti, con rime da adulti, per ascoltatori adulti.

Per i puccettoni che piacciono ai bambini e vanno sempre applauditi e premiati con voti alti per non far piangere Gesù, c’è sempre lo Zecchino d’oro.


3 risposte a “Sesso, droga e minestrina”

  1. Avatar Alessandra Agnesa
    Alessandra Agnesa

    A parte i contenuti, di livello notevole, i titoli sono molto belli.
    Ad avercene blogger così piacevoli.

    Piace a 1 persona

  2. Avatar Qualcuno era ignavo – Plautocrazia

    […] medio oriente, di una parolaccia detta da un presidente di regione o della sensibilità colpita di uno scugnizzo vestito da rapper. Non esiste colpa peggiore dell’ignavia, in questo secolo cretino in cui il volantinaggio […]

    "Mi piace"

  3. Avatar Rap-pappero – Plautocrazia

    […] C’è un problema di proprietà di linguaggio che mi fa quasi soprassedere sulla voragine tecnica e autoriale evidente a chiunque abbia mai ascoltato non dico Eminem o Biggy, ma almeno mezza strofa di CapaRezza o Frankie Hi-NRG – o De Gregori, o Masini, ma pure Iva Zanicchi – di fronte a Cip e Ciop che si insultano con versi di altissima caratura letteraria quali “non si lascia una mamma sola/sei proprio una brutta persona” o “non ti funziona il cazzo senza Viagra/come l’autotune alla serata”, per non parlare del rapper che fa i dissing e poi si offende perché “i bambini non si toccano, ti mancano i valori”. I tatuaggi sul collo e i valori tradizionali; Drugo, ci ho ripensato, rivoglio la dottrina nazional-socialista e pure i punk coi trasferelli a Sanremo. […]

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