
Mentre nel mondo scoppiano conflitti internazionali per i quali ci struggiamo alla macchinetta del caffè e il sonno degli operai precari è turbato dalle vicende del calcio scommesse, in quella valle di lacrime che sono i social c’è un’intera popolazione che nel silenzio generale è ostaggio da anni di sequestratori sadici e irrispettosi; il sequestro ormai dura da così tanto tempo che gli ostaggi – in preda ad una variazione virtuale della sindrome di Stoccolma – si sentono in trappola anche se le porte delle celle sono platealmente aperte. Potrebbero fuggire quando vogliono, vivere la propria vita lontano da quella tortura, ma il sequestro è diventato il loro mondo, e i sequestratori l’unico riferimento sicuro a cui aggrapparsi. No, non sto parlando della popolazione di Gaza e nemmeno del fan club di Claudio Baglioni, sto parlando dell’immenso popolo di quelli che non capiscono le battute.
Domenica c’è stato il debutto di Che Tempo Che Fa nella nuova veste in onda sul Nove; nuova veste che di nuovo ha davvero un sacco di cose, come per esempio… E poi anche… Per non parlare di… Insomma, una ventata di grande modernità con contenuti frizzanti, ospiti mai visti e tanta originalità da far impallidire il vangelo del venerdì. In tutta questa baraonda di estrosità, leggerezza e rifiuto del vecchiume televisivo, tra un monologo di Michele Serra e una chiacchierata con Burioni, Fabio Fazio ha chiamato ancora una volta nel suo studio Liliana Segre per parlare di conflitto in Israele, odio, vendetta e altri temi sui quali la senatrice a vita è stata inspiegabilmente preferita a Povia.
Come ampiamente prevedibile – essendo Fazio un pezzo da novanta che farebbe audience pure se gli affidassero “Protestantesimo” – la trasmissione è stata un successo e, viste le vicende dell’ultimo cambio di dirigenza e palinsesti Rai, delle pernacchie in direzione del governo si percepisce ancora l’eco nei trend di Twitter, ma torniamo ai nostri ostaggi e ai loro insensibili sequestratori. Tra le pernacchie e gli originalissimi “Bello, Ciao” indirizzati a Salvini, l’idillio e la vicendevole masturbazione dei giusti sono state improvvisamente rovinati da Martina Catuzzi, stand-up comedian e titillatrice social di professione, che riguardo all’ennesima ospitata di Liliana Segre nel salotto di Fazio ha twittato: “Liliana Segre è sempre da Fazio. Ha passato più tempo da prigioniera di Fazio che da prigioniera dei nazisti”.
Breve (e tristemente necessario) intermezzo di comprensione del testo: chi viene ridicolizzato dalla battuta è Fazio; l’iperbole sottintesa è: “Fazio tiene prigionieri i suoi ospiti”; Liliana Segre non è il target, ma la leva comica; l’olocausto non è il tema, ma il riferimento funzionale ad accentuare la crudeltà del “Fazio rapitore”.
Inutile dire che l’internet dei giusti se ne fotte dell’analisi logica come Israele del diritto internazionale, e quindi reagisce in maniera visibilmente scomposta a una battuta colpevole di sfiorare leggermente argomenti sensibili; perciò per le ore successive, sotto il tweet della Catuzzi e sui profili di chi ne ripubblicava lo screenshot per chiamare l’adunata delle truppe cammellate, il tenore dei commenti variava da “E dovrebbe fa ridere?” a “Questa roba non è ironia, è solo schifo”, passando per accuse di antisemitismo (??) e filippiche su cosa sia comico e cosa no, fino al sempreverde “Vergognati, su certi argomenti non si scherza”.
Nulla di nuovo, per carità, tutta roba di cui già Aristofane a suo tempo aveva i coglioni abbondantemente pieni, ma internet è il luogo dell’orizzontalità totale: tutto è nuovo, tutto è estremo, tutto è scandalo, perfino battute tutt’altro che eccessive. Sì perché, parliamoci chiaro, le battute eccessive e il black humor possono essere ben più pesanti del tweet della Catuzzi, e chiunque abbia un minimo di conoscenza della comicità dissacrante può citare a memoria su due piedi qualche decina di battute con immagini molto più irriverenti di un Fabio Fazio carceriere a Birkenau.
C’è un intero comparto di arte comica in cui una battuta come quella sarebbe blando riscaldamento buono per i fluffer, ed è ovvio che apprezzarla non sia obbligatorio, ma neppure vietato. Ognuno ha i propri gusti soggettivi e proprio chi non è avvezzo ai gusti troppo forti dovrebbe ringraziare che la soggettività non sarà mai legge universale. Se mai fosse così e la legge universale la dettassero i miei gusti sarebbe un inferno, credetemi.
Una delle reazioni più interessanti, e particolarmente indicativa del cortocircuito in corso, è stata la pioggia di “Ma questa chi cazzo è?”, “Ma dovrebbe essere una comica? Io non l’ho mai sentita” e altre brillantissime frasi analoghe. Frasi che dimostrano due cose: la prima è che questa gente è ignorante in materia – e di conseguenza lo sono i commenti che fa. Se la cosa vi turba parlatene con Nanni Moretti – mentre la seconda, forse più interessante, è che il domandarsi chi sia presuppone la possibilità che se la stessa battuta l’avesse fatta qualcuno di “autorizzato” in base a chissà quale valutazione soggettiva o allucinazione collettiva, allora sarebbe stato diverso. Cioè: non si tratta della battuta, ma di chi la dice; e non mi pare ‘sto granché come principio per dettar legge.
Questo atteggiamento è lo stesso approccio cretino dei novax, che infatti sbraitavano “Ma questo chi cazzo è? Non l’ho mai sentito” ogni volta che un qualsiasi esperto veniva interpellato in merito ai vaccini; lo stesso approccio cretino di quelli che forti dell’acquisto del libro di Vannacci spernacchiano la Murgia; lo stesso atteggiamento idiota di gente cresciuta a pane e cinepanettoni che dice che i film di Kubrick sono una merda.
Questo è il punto in cui sbagliate di nuovo l’analisi del testo e pensate “Sta paragonando la Catuzzi a Kubrick”. Fatto? Ok, ora basta limoncello.
Il fatto è che, con buona pace dei nervi scoperti di chiunque, non esistono e non esisteranno mai argomenti su cui non si possa scherzare, né battute che non urtano nessuna sensibilità. L’umorismo, ancor prima della satira, è libero. Non c’è battuta infelice, mal scritta, di cattivo gusto o eccessiva per gli standard di chicchessia che dia senso a sproloqui su un antisemitismo che non c’è o alla pretesa di decidere che su quella cosa lì, su quella persona lì, su quel particolare nervo che vi riguarda si debba evitare di fare ironia o sarcasmo. Non vi piace? Non lo seguite. Vi turba? È un genere che non fa per voi. Non volete lezioni di chitarra? Non chiamate la scuola di musica per dirglielo.
Che poi Liliana Segre, persona intelligente e tutt’altro che impulsiva, probabilmente riderebbe di quella battuta. Chissà, forse alla sindrome di Stoccolma di cui soffre chi invece di proseguire verso altri più confortevoli lidi dell’internet sente l’impulso di urlare “Come ti permetti di fare battute che io non approvo?” manca l’insegnamento della prigionia vera, che è quello di non reagire mai di pancia, di non gridare vendetta, di prestare attenzione. Forse dovreste ascoltarla bene Liliana Segre. Forse se vi ha dato così fastidio quella battuta vi farebbe bene diventare ospiti fissi di Adolf Fazio.






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