Pesca a strascico

Non ci siamo mai emancipati da Carosello, come possiamo farlo dall’Esselunga?

Io vorrei parlare di cose serie, lo giuro. Ho aperto questa paginetta pensando di scrivere satira politica sapida e scomoda, vedevo già le querele dei potenti di cui vantarmi con gli amici al bar, in un impeto di ottimismo ho persino salvato nel carrello di Amazon un leggio per futuri monologhi teatrali, e invece. E invece sono qui a parlare di una pubblicità di Esselunga che ha smosso così tanti bruciori di culo che mi aspetto il seguito dello spot con un vasetto di ‘nduja al posto della pesca.

Al netto del polverone, lo spot è brutto, diciamoci la verità. Brutto come il patetismo forzato, come il doppiaggio edulcorato, come i titoli tradotti dei film, brutto come la predica del prete la domenica. È brutto perché è completamente irrealistico senza mai ammetterlo e virare verso il comico, è brutto perché dopo 10 secondi vuoi solo sapere se la bambina sia in cura da qualcuno per il mutismo selettivo e la fissità nello sguardo, è brutto perché ci si rende conto che l’originalità dello storico Pier Della Franpesca ormai è lontana, è brutto – soprattutto – perché non si capisce cosa voglia raccontare né perché sia stato scelto di raccontarlo così, e la prova è che ognuno si è concentrato su un dettaglio diverso in base alle proprie paranoie, manco si trattasse delle chiappe di Arisa.

Non voglio tirare in ballo la pubblicità dei Buondì con l’asteroide perché la sua rimozione ancora mi brucia, ma ricordo una pubblicità della Ponti di una ventina d’anni fa in cui una bottiglia di aceto balsamico si rovesciava nel bel mezzo di un campo da golf e gli astanti sentivano l’irrefrenabile bisogno di gettarsi a terra e mangiare l’erba del green, diventata una leccornia grazie a quel piccolo incidente. Mentre i protagonisti dello spot banchettavano felici scorticando il prato, in sovrimpressione scorreva un avviso che recitava all’incirca “Ponti sconsiglia vivamente di mangiare campi da golf”. Lo ricordo distintamente perché ho sempre pensato che quella scritta fosse il tocco comico di un pubblicitario creativo; vent’anni dopo – e dopo aver cercato il video su Youtube e averlo trovato soltanto senza la sovrimpressione – mi duole pensare che con molta probabilità fosse soltanto la pezza aggiunta in corsa per placare l’indignazione delle mamme preoccupate che i loro frugoletti andassero in giro a mangiare l’erba dei fossi.

Sì, lo so, ho detto “mamme” invece di “genitori” e questo fa di me un maschilista retrogrado strumento del patriarcato, ma cercate di mantenere la concentrazione: la pubblicità di cui sopra non raccontava una scena reale, e neppure minimamente realistica – c’era pure un cameriere in doppiopetto e vassoio d’argento che attraversava il campo da golf per portare la bottiglia d’aceto, neanche Mario Giordano potrebbe crederci – l’assurdità era dichiarata, eppure è stato necessario metterci l’avviso. Succedeva vent’anni fa, e sono sicuro succedesse anche molto prima, perché io l’ho capito qual è l’origine di tutto questo, ho capito quando abbiamo iniziato a non saper più gestire la sospensione dell’incredulità.

Il 3 febbraio del 1957 andava in onda la prima puntata di Carosello, che per i successivi 15 anni di messa in onda e i seguenti 60 anni di nostalgia televisiva d’accatto ha convinto intere generazioni di essere un programma geniale, irripetibile, pazzeschissimo, quando in realtà era semplicemente un’idea nuova in un’epoca in cui era nuova anche la TV. I caroselli avevano una caratteristica che oggi avrà sicuramente un nome inglese per farla sembrare moderna e cool: la trama doveva essere estranea al prodotto che sponsorizzava, perciò c’era una fantasiosa varietà di sketch che qualcuno definirebbe decisamente artistica. Negli anni per i caroselli sono stati impegnati attori e registi di altissimo bordo, e questo ha contribuito a fare di Carosello un mito, anche se i caroselli non erano tutti meravigliosi, e infatti se fate un rapido sondaggio tra i vostri conoscenti di una certa età si ricordano tutti la stessa manciata di spot, la stessa trentina di slogan e altrettanti jingle; un po’ poco per 15 anni di messa in onda quotidiana e qualcosa come settemila episodi o giù di lì, ma non è questo il punto.

Il punto è che tra il mito e l’esistenza di soli 2 canali televisivi, i caroselli sono diventati così “di famiglia” negli anni ’60 da far dimenticare a tutti – pure a quelli che negli anni ’60 non c’erano – che erano pur sempre stratagemmi per vendere.

Dai tempi di Carosello l’Italia ha un enorme problema con le pubblicità: ci crede, e ci crede troppo; ci crede come crede ai rimedi della nonna, come crede ai calciatori che giurano fedeltà a una maglia, come crede alle irruzioni con tentativi di suicidio a Sanremo; ci crede così tanto che chiede alle pubblicità di fare quello che dovrebbero fare la politica, la scuola o lo stato sociale, e non so se questo succeda perché Carmencita sia più credibile del ministro dell’agricoltura e delle sue sparate, perché la nostra versione di True Detective è Don Matteo, perché siamo rimasti l’unico paese al mondo che paga un cachet a Haiducii o perché non ci siamo mai ripresi dal confetto Falqui.

Non lo so, ma so che da tre giorni è un fiorire di filippiche sull’importanza di ribadire che non esiste solo la famigliola del Mulino Bianco, sul non colpevolizzare i genitori che divorziano, sull’attenzione alle sofferenze dei bambini e una valanga di altri temi importantissimi, con tanto di opinioni di psicologi, avvocati divorzisti, preti, bisticci tra parti politiche, testimonianze struggenti, perfino l’intervento della presidente del consiglio, e se tutto ciò fosse scaturito da un disegno di legge o una manifestazione in piazza sembreremmo la Svezia, invece nasce e muore tutto intorno a uno spot con un tasso di elementi patetici così elevato che a confronto gli Harmony sembrano scritti da Stephen King.

Se ne sono occupati tutti – tranne la Schlein che in una boutade di veltroniana memoria ha detto di non aver visto la pubblicità, ma della costante inadeguatezza della sinistra ne parliamo un’altra volta – e se ne sono occupati nello stesso modo in cui i nerd disquisiscono della coerenza narrativa dei film Marvel: dimenticandosi completamente che quella roba lì, quel racconto lì, non è reale, voi non siete Iron Man, e soprattutto del vostro vissuto di separati, divorziati, figli di famiglie distrutte o membri della famiglia Ingalls, non interessa nulla all’Esselunga quanto ai suoi pubblicitari. Tutt’al più interessa che il vostro vissuto vi renda suscettibili abbastanza da farvi comprare la lattuga in quel posto in cui le bambine affette da mutismo pensano al padre guardando una cassetta di pesche a 5 euro al kg.

Certo è che le fregole dell’internet aiutano, e il famigerato “purché se ne parli” è stato ampiamente raggiunto, per cui in fondo chi può dire che la pubblicità sia stata fallimentare? Chi può dire se tutti quei messaggi subliminali ci fossero o stanno solo nell’occhio di chi sbraita? Chi può dire se con un altro frutto avrebbe funzionato meglio o peggio? Vorrei tanto che ci fosse Bill Hicks a spiegarlo, ma la sensazione è che la pesca su cui puntava lo spot non fosse una nettarina e neppure una percoca, ma una pesca con accento diverso, una pesca che su internet funziona tantissimo e ancor di più in un paese che più che col fascismo dovrebbe fare i conti con Carosello: la pesca a strascico.


2 risposte a “Pesca a strascico”

  1. Avatar Bot Hanna – Plautocrazia

    […] ultime 48 ore, in particolare, è accaduto un fatto strano che rischia di spazzare via gli interessantissimi dibattiti sulla frutta del supermercato: un numero imprecisato di bot con lo stesso nome ha invaso i tweet di mezza Italia, causando […]

    "Mi piace"

  2. Avatar Autonomia sanremizzata – Plautocrazia

    […] credere che essere italiani riguardi le tradizioni e la nostras gloriosa storia dagli etruschi fino alla pesca dell’Esselunga, provate a pensare se esista qualcosa di più italico del tradurre il “fatta l’Italia, […]

    "Mi piace"

Scrivi una risposta a Bot Hanna – Plautocrazia Cancella risposta

ALTRI ARTICOLI RANDOM

  • Citofonare Berkeley

    Citofonare Berkeley

    Filosofie ubriache nei cioccolatini, alberi militanti in foreste vuote e una trappola

  • Tiro al Colombo

    Tiro al Colombo

    I guizzi favolistici del ministro e il sollievo di aver schivato l’interrogazione

  • Metodo Starsulkavskij

    Metodo Starsulkavskij

    Dave Chappelle, i Monty Python e gli sfottò che dovreste leggere fino in fondo

  • Non chiamatela apocalisse

    Non chiamatela apocalisse

    La fine dei giorni, il rapimento della chiesa e l’antica profezia dei racchettoni