Dilemmi satirici: Episodio 0

Siamo davvero sicuri che la satira esista?

Da dove viene il desiderio di infastidire? Dove va? La satira esiste? E se non esiste, chi lo spiega a Giovanardi?

A questi e altri brillantissimi dilemmi senza risposta è dedicata la rubrica che inauguro con questo episodio pilota. L’idea nasce dalla voglia di mettere nero su bianco alcuni ragionamenti che porteranno a un prevedibile nulla di fatto, ma dei quali sento fortemente il bisogno, nonostante io stesso abbia di chi discute le regole della satira la stessa opinione che Frank Zappa aveva di chi scrive di musica.

Ciò che troverete in questo e nei prossimi episodi non vuole essere una guida esatta, né io voglio pormi come tenutario indiscusso delle leggi della risata sapida che dispensa comandamenti – non sono Luttazzi – ma un punto di vista, uno dei tanti, di chi nel suo piccolo ci prova e cerca di capirci qualcosa. Inutile dire che chiunque avesse idee, spunti o critiche, o volesse addirittura contribuire in prima persona a questa rubrica è ben accetto. Chi sono io per sbrogliare le millenarie matasse esistenziali sulla satira? E chi siete voi per leggere le mie bislacche teorie in merito, o addirittura parteciparvi? Ecco, questo è lo spirito.

Ma ora bando alle ciance e cominciamo. Questo è l’episodio pilota, e mi pare giusto cominciare dalle basi.

La satira esiste? Io sinceramente non lo so più.

C’è stato un periodo della mia vita in cui sono stato assolutamente convinto che la satira esistesse e che fosse qualcosa di riconoscibile, di tracciabile lungo una linea immaginaria che va da Plauto e Marziale, passando per Lenny Bruce e i Monty Python, fino a Ricky Gervais e Lollobrigida (non crederete a quella storia che Lollo sia un ministro, vero? Suvvia, siamo seri). In quel periodo lessi quintali di libri, articoli e retrospettive così accademici e apparentemente coerenti tra loro che ciò che ne usciva era inevitabilmente un’immagine della satira come qualcosa di oggettivo, identificabile entro certi parametri, e che quei parametri fossero un discrimine per stare o dentro o fuori: o fai satira o non la fai, sempre, senza soluzione di continuità; o sei Guzzanti o sei Boldi, questo non è il Vietnam, ci sono delle regole.

Eppure quelle stesse analisi raccontavano come la componente fondamentale della satira in ogni epoca e in ogni luogo era ed è lo sfuggire costantemente a qualsiasi tipo di classificazione. Per usare una frase di Luttazzi – o chi per lui – la satira informa, deforma e fa quel cazzo che le pare. E allora dove sta la satira? Nelle regole per cui irride il potere, affronta argomenti tabù e non risparmia nessuno o nel ribaltarle ogni volta, queste regole, e mantenersi libera in senso ostinato e contrario? Forse in entrambe, ma credere a qualcosa di astratto e onnipresente fa di me un conoscitore della satira o un religioso col paraocchi?

Curiosamente, il mio periodo di fede cieca nella satira è coinciso con il periodo in cui il mio gusto in fatto di comicità ha virato decisamente verso la parte più dark, più scorretta e più fastidiosa, quando l’umorismo per famiglie, gli sketch di facile presa e le battute all’acqua di rose hanno iniziato non soltanto a non divertirmi più, ma in molti casi addirittura a irritarmi. Pian piano scoprivo sempre più che quella tendenza a fare battute disturbanti nei momenti meno opportuni non era un mio istinto che avrei dovuto frenare, ma forse una qualità che avrei dovuto coltivare, con buona pace di parenti e amici i cui sguardi di disapprovazione sono passati dall’essere una fonte di dispiacere ad una di enorme soddisfazione.

Ad un tratto ho capito che non ci posso fare nulla: più le situazioni e gli argomenti sono delicati e sensibili, più il mio cervello li rielabora ossessivamente finché non ne trova un punto di osservazione che li renda ridicoli. È a questo punto che la satira mi è venuta in soccorso, perché – l’ho pensato allora e lo penso ancora oggi – la satira non esiste in quanto tale; è soltanto il nome che diamo a ciò che ci fa ridere di qualcosa di cui la società ci dice che non dovremmo ridere. Una battuta dalla connotazione satirica fatta da un personaggio che per il resto racconta barzellette per bambini, è satira oppure no? Ed è più o meno satira di quella fatta da autori satirici? Un dichiarato autore satirico può fare un film dei Vanzina ed essere ancora considerato tale? Io mi sono convinto di sì, ma per convincermene ho dovuto rigettare metà di quelle letture accademiche che ora trovo ridicole quanto chi ci si affida in toto, e chissà, magari la satira sta anche nel rifiutare le proprie convinzioni prima ancora che quelle degli altri.

Ricordo di aver letto un’intervista a Corrado Guzzanti in cui quando gli fecero una domanda sullo stato di salute della satira in Italia lui rispose che preferiva i tempi in cui la chiamavano “umorismo”, e in fondo forse si tratta solo di questo: un umorismo di nicchia, un gusto sapido, una tendenza al grottesco a cui affibbiamo il nome di qualcosa di nobile e di millenaria tradizione per usarlo come uno scudo verso chi inevitabilmente strabuzzerà gli occhi o si sentirà offeso. Lo spiega benissimo Beppe Grillo nel suo “Grillo vs Grillo”, in un passaggio in cui racconta di quanto preferisse la censura dichiarata della vecchia TV a quella travestita di oggi, e dice testualmente: “C’era la censura ma si poteva aggirare: facevo una battuta un po’ più forte? Diritto di satira!”.

Dove sto cercando di andare a parare con tutto questo sproloquio? Non lo so, forse voglio soltanto dire che giustificare l’umorismo irriverente di oggi prendendo dei dogmi vecchi di 2000 anni non è molto diverso da ciò che fanno le religioni che la satira dovrebbe irridere, forse che discutere di satira è come ballare di architettura, o forse non voglio andare a parare da nessuna parte e chiedere a chiunque passi di qui di dire la sua, e a chi se la sente di partecipare, ché in fondo questo è un episodio pilota di un’idea che potrebbe diventare un podcast, un buco nell’acqua o la base di un complotto mondiale con la medesima probabilità.

A conclusione di tutto ciò mi resta un enorme dubbio: tutta ‘sta roba, chi gliela spiega a Giovanardi?


Una replica a “Dilemmi satirici: Episodio 0”

  1. Avatar Dilemmi satirici – Episodio 1 – Plautocrazia

    […] bando alle ciance, dopo essermi chiesto, senza ovviamente ottenere risposta, se la satira esista davvero, oggi vorrei dare per scontato che esista e provare a esporre una teoria – si fa per dire […]

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