
Questa non è soltanto una storia di chiappe in bella vista; è la storia di un mondo in cui esistevano ancora i mestieri, un mondo in cui agli undicenni che facevano domande cretine si diceva di tacere, un mondo in cui i venditori ambulanti al mercato urlavano quanto fosse fresco il pesce e non raccontavano favole sul significato socio-culturale del comprarlo o di metterlo in mostra.
Sono passati soltanto tre decenni dal più celebre spot di mutande che l’Italia intera ricordi, eppure sembra un’epoca lontanissima se la mettiamo a confronto con le polemiche insulse di questo tempo cretino, ma soprattutto in questi tre decenni la proprietaria di quei glutei è diventata una delle showgirl più affermate del paese, mentre la Ferragni è impegnata da giorni in esercizi di sestessismo acrobatico per nobilitare un paio di chiappe agli occhi di un’undicenne – o presunta tale, ma per tutto il pezzo fingete che non ci siano ingerenze adulte, vi sarà facilissimo farlo – e si sta arrampicando così tanto che per distrarre il mondo dall’impacciata discesa il marito dovrà farsi venire una nuova crisi esistenziale o litigare pubblicamente con qualcuno.
Certo, mica è tutta colpa sua; non si può pretendere dalla Ferragni che faccia l’adulta in un contesto infantile: nessuno vuole essere il tizio che interrompe lo spettacolo dei burattini per ricordare ai bambini che ci sono i compiti da fare, soprattutto se stare simpatico ai genitori è l’unica cosa che ti permette di pagare le bollette; lei fa ciò che deve fare per mandare avanti la baracca e non può esimersi dal seguire le idiozie delle masse (quelli bravi lo chiamano “sentiment”) perché a differenza di un idraulico, un impiegato, un direttore d’orchestra o la proprietaria dei glutei di cui sopra, la Ferragni non ha un mestiere.
Questo è il punto in cui mi raccontate che è un’imprenditrice digitale di successo, che ha costruito un impero, che non è da tutti fare ciò che fa, che non so niente di quel mondo e che sono solo invidioso e maschilista.
Fatto? Ok, possiamo andare avanti.
Il lavoro della Ferragni è essere la Ferragni; non sé stessa, per quante frasi di Coelho possa citare, ma quella che il pubblico è convinto di conoscere. A differenza della proprietaria dei glutei degli anni ’90 – che anche smettesse di essere testimonial di qualcosa avrebbe comunque il suo mestiere, la sua fama e tutto il resto – il successo della Ferragni e il suo grande impero dipendono esclusivamente dal fatto che tutto ciò che fa pubblicamente coincida con l’immagine più conveniente o accattivante del momento, qualsiasi essa sia.
Va da sé che – se il tuo mutuo dipende dal mantenimento di un pubblico largo in un contesto in cui dire che metti la panna nella carbonara può costarti un boicottaggio degli utenti Twitter, una querela di Cracco o addirittura articoli dedicati di Selvaggia Lucarelli – un sano “fatti i cazzi tuoi” a qualcuno che te la mena perché mostri le chiappe lo puoi dire tutt’al più se quel qualcuno è un uomo, un membro del governo oppure un palese idiota (o tutte e tre le cose insieme, ma non si può sempre contare su Gasparri); di certo non puoi dirlo a una ragazzina. La ragazzina – infernale combinazione social di elementi quali femmina, giovane e orgoglio di mamma – va trattata come una valida interlocutrice, e le sue opinioni sugli effetti sociali della chiappa vanno analizzate al pari di quelle di Bauman.
Alla ragazzina, se paghi il mutuo coi like, non puoi dire di farsi i cazzi suoi, ma nemmeno rispondere parafrasando Freud e spiegandole che a volte una mutanda è soltanto una mutanda, non sia mai! Alla ragazzina devi parlare adattando l’adulto che sei all’undicennitudine della stronzata a cui stai rispondendo, e raccontare che quella foto in cui c’è il tuo corpo nudo debitamente edulcorato sulle pudenda ma con la messa a fuoco su un culo che indossa l’unico indumento presente nell’inquadratura non è mica un modo per pubblicizzare la linea di perizomi – macché! – è un messaggio per piccole e grandi donne, un invito a non aver paura di essere sé stesse, che “nessuno può giudicarci o farci sentire sbagliate”, che “ci hanno insegnato che non possiamo osare”, che sei “contenta di far incazzare i puritani” e un sacco di altre frasi di una profondità tale che sospetto ci sia in ballo una collaborazione con la Perugina.
Lo so che adesso starete pensando che cercare di mantenere una determinata immagine agli occhi della platea è ciò che fanno tutti i personaggi pubblici o percepiti tali, e che il veder silurare dalle TV personaggi scarsi o ormai bolliti per delle uscite infelici vi fa credere che le rivolte social abbiano davvero il potere di decidere della carriera della gente di talento, ma la realtà è che l’indignazione vale soltanto finché smuove più soldi del suo oggetto, e che gli unici a doversi preoccupare dell’opinione della gente sono quelli a cui non è rimasto – o non hanno mai avuto – nient’altro che la propria immagine.
Se non siete ancora convinti sono costretto a farvi notare il sottinteso cardine di questo sproloquio: pur condividendo quantità di stoffa e inquadratura, la mutanda barricadera e contro i pregiudizi della Ferragni sarà dimenticata tra 10 giorni – come tutte quelle che l’hanno preceduta nella pesca a strascico di visualizzazioni – mentre la mutanda là in alto ha 30 anni, nessuno si è mai sentito in dovere di assurgerla a nobile simbolo di lotta, e della tenutaria di quelle chiappe non è neanche necessario fare il nome. Quella mutanda, in barba alle undicenni di ogni epoca, è diventata un classico trasversale, una nozione condivisa come la sigla di SuperQuark o il caschetto della Carrà.
Forse alle undicenni – se proprio si vuole spiegare qualcosa illudendosi che impareranno a stare al mondo dando retta agli adulti e non improvvisando per sopravvivere alle randellate in faccia che arriveranno – andrebbe spiegato che i mestieri sono importanti anche in un mondo in cui i produttori di cosmetici ti dicono che sei bellissima così, e in cui le banche ti raccontano che bisogna smetterla di pensare che i soldi siano così importanti; andrebbe spiegato loro che prima di non farsi giudicare da nessuno è meglio costruirsi un motivo per sbattersene dei pregiudizi che sia più solido di una frase a dimensione di biscotto della fortuna; soprattutto a un’undicenne andrebbe spiegato che tra un adulto che le dice di tacere perché ha detto una stronzata da ragazzina e un altro che le parla come il suo compagno di banco e le va dietro stando attento a non turbarla, è probabile che il secondo voglia soltanto vendere un perizoma a sua madre.






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