Spropositi dell’anno passato

Elenco non esaustivo di cose che odio, per salutare il 2025 come il mio amico Sosa

I propositi per l’anno nuovo non funzionano. Non lo dico solo perché i miei per il 2026 sono scritti su una Smemo del ’92 piena di cancellature, e neanche perché il podcast di questo disgraziato blog avrebbe dovuto debuttare domani e invece se ne parlerà in primavera. Lo dico perché la definizione stessa dei propositi è perdente, altrimenti si chiamerebbero “progetti”; i propositi sono fondamentalmente bersagli campati in aria presi di mira da un tiratore bendato, e non si è mai capito se si diverta di più quello che spara alla cieca o quelli intorno che lo vedono disorientarsi da solo.

Tutto questo per dire che, nel mezzo di un’attualità che pare offrire migliaia di spunti ma offre soltanto trite imitazioni di vecchi sketch, mi sono ridotto a scrivere del nuovo anno in arrivo come un Gramellini qualsiasi, ma in onore del governo in carica vorrei capovolgere i riti di capodanno.

Quindi, in luogo dei classici propositi per l’anno nuovo, vi propino la lista degli spropositi dell’anno passato, che altro non è se non una lista – del tutto incompleta – delle cose che meno ho sopportato quest’anno; cose sulle quali non ho la minima influenza, ma che vorrei veder sparire in un battito di ciglia come il salame nostrano al veglione.

Lista degli spropositi del 2025

La gente che non capisce le battute e che, quando glielo fai notare, attacca i pipponi sul perché ridere proprio di quella cosa lì è inaccettabile, che si tratti di bambini a Gaza, terremotati, disturbi intestinali, complotti eversivi o gatti con l’alopecia.

Gianluca Gazzoli nella totalità della sua insipienza, ma in particolare quando mostra stupore per il racconto di un aneddoto che era già vecchio e stravecchio quella disgraziata sera in cui suo padre ha dimenticato i preservativi.

I negozi che vendono cover. Perfino la Meliconi ha dovuto iniziare a produrre altro, non è possibile che questi esistano e sopravvivano col business dei paraspigoli per il telefono. Ho visto ristoranti cinesi essere accusati di riciclare il denaro della mafia per molto meno.

L’uso di termini inglesi traslitterati in italiano da quelli che vogliono mostrarsi al passo con le psicopatie degli americani, in particolare i verbi traslitterati sempre con la desinenza in -are. Esistono altre due desinenze, dove minchia è la vostra inclusività? Razzisti lessicali che non siete altro, dovreste vergognarvi. Fate rimpiangere la genuinità dei paninari.

La fissa adolescenziale di affibbiare nomi alle generazioni, come se essere “millennial”, “boomer” o “generazione X” possa restituire la dignità degli antichi fasti alle prostate stanche e all’esigenza di Maalox Reflusso dopo la pizzata di classe. Congelare in un’etichetta il periodo in cui cazzi e tette stavano su senza aiuti non vi salverà dagli sguardi imbarazzati dei vostri nipoti, e nemmeno dalla cirrosi.

I sottotitoli automatici nei video. Non solo con l’italiano il riconoscimento vocale e la trascrittura sono meno affidabili di Kaspar Hauser, non solo quelle cazzo di lettere colorate da un dodicenne daltonico occupano inutilmente mezza inquadratura, ma soprattutto quando guardo un video senza audio rivendico il diritto di immaginarmi i dialoghi. Morte agli automatismi che soffocano la fantasia!

Le petizioni online. Qualsiasi sia la battaglia che credete di combattere, sia essa il diritto a un bagno a dimensione della vostra fantasiosa sessualità, il contrasto all’egemonia massonica di BigPharma, lo scioglimento dei movimenti fascisti, l’esilio televisivo di Teo Mammucari e di tutti i suoi consanguinei, la pubblicazione degli Epstein Files riguardanti il losco passato di Paolo Bonolis e Uan, la pace nel mondo o un referendum per rendere il Campari bevanda nazionale, se non avete la forza di alzare il culo e montare un banchetto alle 6 di mattina è una battaglia inutile.

Quelli che ti spiegano, con fare accademico e tono da Indiana Jones dell’impero dei nerd, che per capire l’ultimo film Marvel – qualunque esso sia – prima devi assolutamente guardare i 28 precedenti altrimenti ti sfuggono i riferimenti, ma se poi citi un classico e non ti riferisci al remake premasticato in formato serie TV ti guardano come mucca guarda treno.

La visione compulsiva e ossessiva, in massa, della stessa serie TV nello stesso momento, con gente adulta che attende l’uscita notturna della nuova stagione come fosse la nascita di un figlio, per poi correre sui social a sviscerare interessantissime teorie modello fanfiction sul background psicologico di personaggi inventati. È un’opera di fantasia, il demogorgone avrebbe potuto essere a forma di frigorifero vintage e non sarebbe cambiato nulla, sospendete l’incredulità e rilassatevi.

Ora che ci penso, le serie TV. Tutte, in generale, anche quelle belle. Soprattutto quelle belle, perché hanno funto da ariete per quella che ormai non è più serializzazione: è bulimia visiva, associata a tossicodipendenza da finali di puntata. Ogni volta che cercate storie con colpi di scena cadenzati a mezz’ore, un bravo sceneggiatore muore. Mettete fine a questa inutile strage di talenti: ricominciate a guardare i film.

I discorsi allarmisti sull’intelligenza artificiale. Eravamo scemi anche prima di fidarci ciecamente di un algoritmo che, con il giusto numero di interazioni e forzature pilotate, tra qualche anno potrebbe sostenere con assoluta certezza che la teoria del Big Bang è quella per cui anche i nerd scopano. O forse lo fa già ora, provate.

L’esistenza dei fan di Fabrizio Corona e l’illegalità del waterboarding. Sentitevi liberi di trovare una connessione tra le due cose.


Bene, direi che per oggi mi sono inimicato un numero sufficiente di categorie suscettibili, non mi resta che augurarvi un buon 2026, e che sia un anno splendido, o quantomeno l’anno del fallimento dell’industria delle cover.

Ora scusate, qui fervono i preparativi per il veglione e Pozzolo dice di aver messo la sicura alla vecchia Betsy, ma è proprio questo che mi preoccupa.


Lascia un commento

ALTRI ARTICOLI RANDOM