Citofonare Berkeley

Filosofie ubriache nei cioccolatini, alberi militanti in foreste vuote e una trappola

Se un albero cade in una foresta ma nessuno si trova lì per sentirlo, fa rumore oppure crolla nel silenzio più totale? Quante pagine della Smemo imbrattate con questa domanda; quanti nasi all’insù dei laureati in lettere che ripetono l’intuizione di Berkeley per spiegare al cliente che il BigMac non è ancora pronto; quante foto di chiappe instagrammabili didascalizzate, grazie a questo sintetico bignami dell’economia degli scarsi scritto con 3 secoli di anticipo. Un quesito che odora di sbronza filosofica della sera prima, ma che ha comunque definito i canoni della devastazione culturale di questo secolo.

Pensateci: “Soltanto se qualcuno ne ascolta il rumore” è una descrizione esistenziale più adatta all’albero di Berkeley o a Sfera Ebbasta? Chi teme il silenzio assoluto e ha bisogno di un pubblico durante un crollo per non finire inascoltato, una sequoia o Chiara Ferragni? Chi risponde al “esistere è essere percepito” del filosofo, un tronco millenario in Amazzonia o il vostro vicino di casa che va a prendere le piattole a Jesolo e pubblica 700 stories per dirlo a tutti in tempo reale? Essere percepito, visto, ascoltato come unica dimostrazione della propria esistenza è il cardine di tutto questo tempo cretino, e il silenzio assordante della mancanza di pubblico il più nero horror vacui che riusciamo a concepire.

Questo è il punto in cui dovreste smettere di leggere se fin qui avete annuito e riso del vicino di casa, o se vi volete giocare un ribaltamento retorico-filosofico al prossimo aperitivo per fare gli splendidi.

Bene. Ora che siamo rimasti solo io e voialtri masochisti, posso compiere il ribaltamento ulteriore e trascinarvi con me nella tana del bianconiglio schizofrenico. È sufficiente avere in casa una foto incorniciata dell’albero, immortalato mentre cadeva in un tempo passato imprecisato, per sentirne il rumore della caduta? Cioè: il “pubblico” dell’albero può essere considerato tale se deduce il rumore da una foto? Se è il frastuono della caduta a definire l’albero, il suo tronco sdraiato a terra con le radici a vista esiste ancora? E se non esiste, chi glielo spiega, a Mario Tozzi? Lo so che vi sembrano domanda stupide e che la risposta sia ovvia – sono domande retoriche a fini satirici, cazzo! Non imparate mai – ma seguitemi nel ragionamento.

L’albero della metafora è rimasto lì, fermo, immobile, silente, da quando era un arbusto fino a quando il filosofo inglese si è sbronzato di Cognac scrivendo la prima frase da Baci Perugina dell’empirismo. È rimasto in piedi senza farsi percepire da alcun pubblico ipotetico – perciò, restando in metafora, non è esistito – per tutta la sua vita; poi cade e solo in quel momento diventa albero. Non prima, non dopo. Esiste soltanto con qualcuno ad ascoltare il tonfo nell’esatto istante in cui il tonfo avviene; solo e soltanto quando il rumore c’è. Non se lo si immagina da una silenziosa foto. Non se lo si deduce dal rumore percepito di un altro albero in un altro tempo. L’albero senza caduta rumorosa non è sufficiente; la caduta rumorosa non è sufficiente; il pubblico di per sé non è sufficiente, le foto incorniciate non sono sufficienti. Tutte queste cose devono condividere lo stesso momento.

Ora, cosa siano l’albero e il pubblico fuor di metafora l’abbiamo già inquadrato, ma cos’è il rumore? Il rumore è espressione dell’impatto dell’albero in caduta su tutto ciò che non è l’albero stesso: è l’impatto sul sottobosco, i rami spezzati agli alberi vicini, la fuga spaventata degli uccelli nidificati lì attorno, il danno al terreno sottostante, l’occlusione ad altri arbusti dello spazio orizzontale, la liberazione ad altri di quello verticale; in poche parole, il rumore è l’influenza concreta sul mondo esterno. Influenza che non esiste con l’albero silenziosamente in piedi.

Passando dal particolare all’universale: una realtà (l’albero) esiste soltanto se la sua influenza sul mondo esterno (rumore) viene percepita nell’esatto momento in cui si manifesta (caduta) da qualcuno (pubblico) che non si accontenta di credere nell’idea teorica (foto incorniciata) ma approfondisce in prima persona (presenza). Se tutti questi elementi convergono, quella realtà esiste. Se soltanto uno manca all’appello, la metafora di Berkeley rimane un’ininfluente filosofia ubriaca. Riassunto per bignamisti al cioccolato: esistere è veder percepito il proprio effettivo impatto al di fuori di sé, da chi mostra interesse reale, oltre un’immagine di copertina.

Ci siete ancora? Avete subodorato il trappolone? No? Tranquilli, ora tiriamo i fili: sostituiamo la foresta con una fiera dal libro, l’albero con la propaganda fascista, la caduta con una casa editrice che propugna idee di gente che i libri li bruciava, il rumore con il contenuto dei libri pubblicati dalla suddetta casa editrice, il pubblico con gli acquirenti al banchetto in fiera, e infine la presenza con la lettura attenta, in prospettiva storica e senza precondizionamenti, dei famigerati tomi ad alto contenuto propagandistico.

Ora avete capito? Mi state già dando del fascio collaborazionista amico di CasaPound tifoso della Lazio? Siete già corsi a recuperare la versione fumetto di quel Karl Popper di cui non avete mai letto un’opera? State venendo sotto casa mia coi forconi, le foto della Murgia e gli occhi iniettati di sangue? Io ve l’avevo detto, che avreste dovuto smettere di leggere; assumetevi le vostre responsabilità.

Interrompete il vostro monologo interiore: il banchetto editoriale dei fasci non è un pericolo per nessuno, e lo dimostra già il fatto che la “prima linea” della resistenza contro il temibile spettro della dittatura sarebbe un fumettista in tuta acetata che per protesta rimane a casa. Le staffette partigiane in smartworking, ma allora è meglio la dottrina nazionalsocialista, Drugo.

Lo so che vi hanno cresciuto ricordandovi che bisogna stare attenti perché il mostro può sempre tornare e che, in mancanza d’altro, avete convertito l’impegnativa memoria in comodo allarmismo per i cosplay littori, ma Passaggio al bosco – nulla mi toglie dalla testa che ‘sta ridicola pantomima fieristica non ci sarebbe stata senza l’affinità nominale con gli australo-abruzzesi che cagano sulle ortiche – sta al pericolo fascista come Donzelli sta a Gambadilegno.

I pericolosissimi libri propagandistici per cui urlate allo scandalo da giorni, semplicemente, non li legge nessuno: il loro best seller assoluto del 2024 – il manifesto di UNABomber, tutt’altro che fascista – ha venduto meno di 700 copie. Gli altri, quelli revisionisti per davvero, si attestano su una media di poco più di 60-70 copie all’anno. E questi 70 acquirenti – di cui statisticamente solo 40 si traducono in lettori effettivi – a quale misterioso target apparterranno? A quello di chi legge per formare il proprio pensiero o a quello di chi cerca conferme dei propri pregiudizi? Quanti di questi libri condivideranno lo scaffale di una libreria domestica con Il Capitale? Quanti con la biografia di Pertini? Quanti con una fotografia dei Fratelli Cervi? Esatto. Proprio il numero che avete pensato, non fingete inutile entropia. Zero.

Tornando, in virtù di questo zero, a Berkeley e al suo albero in crisi esistenziale: nel banchetto in fiera convergono tutti gli elementi per dire che fa rumore? No. In un’idea fascista, scritta su un libro fascista, venduto da un editore fascista a un numero ridicolo di lettori già fascisti, non c’è propaganda, per il semplice motivo che – come per ogni idea estremista – non c’è alcuna influenza su chi non è già di quell’idea.

È un albero che vorrebbe cadere e fare un sacco di rumore, se la racconta tra sé e sé su quanto rumore sarebbe in grado di fare, ricorda i bei tempi andati dei rumori che hanno fatto anche cose buone, ma poi rimane lì, fermo, senza nessuno fuor di sé ad ascoltarlo, senza sottobosco da intaccare, senza nidi d’uccello da scombussolare. È un albero che si fa le seghe in cameretta, e il pericolo più grosso è che quella roba appiccicossa non sia resina. Per il resto, mi spiace pisciare nell’acquasantiera da cui fattura Scurati, ma i fasci alla fiera del libro non sono percepiti, non fanno rumore, e perciò, semplicemente, non esistono.

E ora prendetevela pure con Berkeley.


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