
Nell’aria galleggia una quiete apparente, di quelle che forse soltanto Irvine Welsh e la sua capacità di liricizzare i bassi istinti saprebbero descrivere. È una quiete tesa, elettrica, sospesa nel tempo come gli ultimi secondi di un conto alla rovescia, quando il fiato è trattenuto e i sensi si acuiscono fino a pesare il pulviscolo; una quiete forzata, razionalizzante per necessità, sudata quanto la fronte dell’artificiere che deve scegliere il filo rosso o il filo blu; un urlo muto, terrorizzato dall’imminente disastro ma rassegnato alla sua ineluttabilità, come quello di una cristalliera che scorge un tornado all’orizzonte.
C’è chi dissimula la tensione, chi prenota dall’analista, chi finge nonchalance discutendo di elezioni regionali, figuracce governative, sindaci di New York che sostituiranno i taxi coi tappeti volanti, Trump che minaccia invasioni armate, torri medievali che crollano, attacchi frontali alla separazione dei poteri e migliaia di altri argomenti comunque secondari. C’è chi esorcizza battendo l’ironia dove il dente duole, chi scommette fino all’ultimo che non accadrà, chi fa domande fingendo interesse accademico sperando non si noti quello pratico e chi rimane fermo, immobile, silente, a coltivare l’illusione che se non ne parli non capita; se non ti muovi il leone non ti vede; se tiri le tende il mondo non entrerà e tutto rimarrà come prima. Illusi.
La tempesta del secolo si avvicina a grandi passi, e le fondamenta del mondo come lo conosciamo stanno per essere scosse dalle trombe dell’apocalisse digitale: dal 12 novembre, nell’occidente ossessionato dalla sessualizzazione del tutto e occupato a inseguire fantasiose rivendicazioni identitarie, per accedere ai siti porno servirà l’identità certificata. Eccolo lì, l’uovo di Colombo, il grande piano nascosto in bella vista: anni di digitalizzazione, autenticazioni a più fattori, riconoscimenti facciali, 730 precompilati e password a scadenza, tutto per arrivare alla tirannia definitiva: la marca da bollo per le pippe, controllo definitivo di ciò che move davvero il sole e l’altre stelle.
Ora che tutto sta per compiersi scorrono nella mente – come in un’esperienza pre-morte – le profezie disattese dei complottisti, tristi oracoli di questo tempo: “lo SPID ci impedirà di votare”, “toglieranno i diritti a chi non paga il canone Rai”, “venderanno i nostri dati a Bill Gates”, “chiuderanno i conti correnti con un click”, “l’identità certificata vi obbligherà ad arruolarvi”, “le app delle Poste attivano la vitamina spike dei vaccini”, “mio cugino ha fatto lo SPID e poi è morto” e migliaia di altre terzine di novelli Nostradamus affetti da crollo verticale di capacità espositiva. Tutte volatilizzate, sbriciolate, disvelate quali inconsapevoli complici della reale congiura che strisciava sotto la coltre di utili idioti convinti di saper dedurre la pagnotta dalle briciole.
Poco più di 48 ore separano i duri e puri dell’antidigitalizzazione dalla resa totale, milioni di adolescenti dall’appiccicosa riscoperta del cartaceo, sedicenti content creator dal doversi trovare un mestiere, orde di genitori da imbarazzanti telefonate ai figli per farsi rispiegare l’uso di PosteID con scuse puerili. Poco più di 48 ore, eppure l’aria è ammantata da una quiete morbida che ovatta lo scalpiccìo sempre più vicino dei quattro cavalieri, disegnando speranzose orbite di forzata normalità: i giornali parlano d’altro, gli stadi sono regolarmente pieni e le librerie regolarmente vuote, scandali da un quarto d’ora la fanno da padrone, i Vessicchio muoiono lasciandoci in balìa delle Venezi, Salvini si umilia, Calenda corre corre a farsi un tatuaggetto, insomma, tutto scorre come niente fosse.
Paura? Scaramanzia? Totale rassegnazione? Improvvisa riscoperta del valore della castità? Ipnosi da abuso di chef in TV? No. Niente di tutto ciò. Dovrebbero avercelo insegnato secoli di proibizionismi falliti e romanzi intensi: ciò che la gente desidera trova sempre altre strade, e prima ancora di venire compresso evolve, muta, lasciando i censori a crogiolarsi nella vista dell’esuvia.
I tiranni marciano, ma la resistenza è già all’opera. Nel silenzio preoccupato delle masse plebee, sordide strategie corrono di bocca in bocca come l’herpes a Villa San Martino: corsi clandestini di utilizzo dei protocolli VPN, server anonimi messi all’asta del miglior offerente, centinaia di prestaSPID dall’est Europa, paradisi anonimi in paesi senza estradizione digitale, messaggi in codice affidati a staffette Telegram, Radio Londra in formato podcast. Si cospira e si fatica per il pane e… Vabbè, avete capito.
È il grande ritorno della carboneria, la riscossa della rivoluzione dal basso, la necessità che aguzza l’ingegno e ricompatta i popoli. Non c’è fuliggine sui volti e nella natura del movimento, ma non lasciatevi ingannare dal nitore dei pixel: dietro schermi retroilluminati e filtri Instagram, il cuore batte forte come allora, il desiderio di libertà non è mai calato, la devozione alla causa è più rigida di prima – se non per convinzione, almeno per priapismo indotto – e la vittoria è certa perché con noi c’è il nuovo Mazzini, l’Arsenio Lupin degli algoritmi, il fustigatore della segregazione virtuale, il Keiser Söze di Mirabella Imbaccari: Salvatore Aranzulla. Viva Verdi, seghe o morte!






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