
Autunno 2025, interno giorno. Malgrado ufficialmente fervano i lavori, la sala relax è popolata da funzionarie in tailleur e funzionari incravattati tutt’altro che frenetici. Di fronte alla macchinetta del caffè si discute – con la seriosa profondità che si confà all’argomento – di tutte le casistiche della qualificazione ai mondiali, si fanno battute di cattivo gusto sui concorrenti del Grande Fratello, qualcuno racconta di una serie TV che parte lenta ma alla settima stagione diventa bellissima, le dita avide di contenuti volatili corrono sugli smartphone e tutto procede secondo il solito tran tran. In fondo chi l’ha detto che nei luoghi del potere non ci si possa rilassare?
Tra una risata, un reel di Instagram e qualche occasionale mano su altrettanto occasionali culi, la pausa appare non dissimile dalla quotidiana prassi, ma oggi è una giornata particolare, si sa: c’è una nomina importante in ballo. A ricordarlo a tutti i presenti ci pensa la dottoressa De Pittis, dell’Ufficio Mazzette e Raccomandazioni, che – a passo spedito nonostante il tacco 15 – si avvicina a uno dei funzionari, abbassa leggermente gli occhiali, gli lancia uno sguardo d’intesa che lui non vede, ipnotizzato com’è dalla scollatura, e gli mette in mano un fogliettino piegato in 4. È il segnale. Le filosofiche disquisizioni sul 4-4-2 e gli esilaranti meme sulla Flotilla rimangono sospesi nell’aria, mentre la stanza si svuota più velocemente della presentazione di un libro quando finiscono le pizzette.
Cambio scenografia. Interno giorno, stanza chiusa, una foto di Mattarella guarda tutti dall’alto in basso e invidia l’impassibilità del crocifisso appeso sulla parete opposta. Il solito ritardatario entra col fiato che odora di nicotina, fa il segno dei due minuti con le dita a chi gli lancia occhiatacce, poi si siede mentre il ministro finisce di ricapitolare l’ufficialità del momento a una platea di gente che guarda i porno sui tablet. Sbrigate le letture burocratiche si parte con la votazione: “Tutto chiaro?” domanda ammiccante uno dei sottosegretari, mentre i presenti si passano il bigliettino della De Pittis, non mancando di annotarne la generosità del dècolleté. L’ultimo della fila – il geometra Giuffrè, estratto a sorte per il compito dal polpo Paul – ingoia il bigliettino; gli astanti mettono in pausa il corso di bondage e impugnano le penne, un leghista cerca di copiare dal vicino, cala la serietà istituzionale. Effetto chiusura del diaframma fino al nero.
Il diaframma si riapre. L’uomo in giacca e cravatta non è James Bond e non impugna una pistola. È il ragionier Mostacchi, e quella nella sua mano è la busta chiusa con il nome del presidente designato. Scuro in volto, e dubbioso riguardo la scelta dei suoi superiori – ma troppo aduso al servilismo e con troppe rate del mutuo ancora insolute per osare contestarla – procede con decisa andatura in direzione dell’ufficio segreteria. Entra, consegna la busta, aspetta il modulo controfirmato da riportare al sottosegretario e poi si attarda con l’impiegata a scambiare il gossip fresco di giornata:
- Hai visto chi hanno scelto?
- No, ho passato il verbale senza leggere, chi?
- Parisi
- (riadacchiando) Heather Parisi? Quella di “Cicale”?
- Ma và, scema. sulle carte c’è solo il cognome, però siccome non mi diceva nulla ho cercato su Google, è il tizio che ha vinto il Nobel per la fisica qualche anno fa.
- Scusa, ma cosa c’entra un fisico con l’antidoping?
- (mostrandosi disilluso) E io che ne so? Sarà il solito parente da piazzare; ormai non si sprecano nemmeno più a fingere di cercare gente qualificata.
- Parisi… Parisi… Mio marito mi parlava di un Parisi, può essere ci sia un calciatore che si chiama così?
- Sì, è vero! Magari è il figlio di quello che hanno nominato. Mi pare giochi nella Fiorentina, sarà un modo per prendere qualche voto in più alle regionali in Toscana.
- Al solito. Dai, ora scappo, ché dobbiamo compilare le scartoffie e trovare il numero di telefono di ‘sto premio Nobel del test delle urine.
- Ok, ciao.
Dissolvenza incrociata dal Mostacchi che rientra alla sua postazione al primissimo piano di un telefono che squilla. Una funzionaria risponde: “Come? Parrisi? Ah, ok, Parisi. Una sola S. Perfetto. Il nome? Pronto? Pronto? Ha attaccato, vabbè, quanti Parisi ci saranno?”. Il piano si allarga, parte catena di telefonate tra i vari uffici, con collage di funzionari che si rimbalzano il cognome. Dettaglio sull’ultimo funzionario della catena che appunta su un foglietto e dice “Ricapitolando: il Ministero eccetera eccetera, visti gli articoli eccetera eccetera, dopo ufficiale votazione eccetera eccetera, Nomina Presidente Commissione Antidoping, tutte le iniziali maiuscole, Antidoping tutto attaccato? Ok. Nomina, bla bla bla, Parisi dottor… Come si chiama di nome? Non lo sai? Vabbè, lo cerco io su internet, tanto mica sarà uno sconosciuto… Firma in calce, Semper Fidelis, Eia eia bla bla bla. Perfetto. Cerco il nome e poi porto tutto in copisteria”.
Cortile della sede del ministero, esterno giorno. Grandangolo che si stringe progressivamente sul ministro che fuma una sigaretta e ride di gusto mentre un sottosegretario mima il seno della De Pittis con le mani. Suona il telefono, il ministro guarda il display e fa segno di dover rispondere. Segue dialogo di cui si sente soltanto la parte del ministro: “Attilio! Come va? Sì sì, tutto fatto, tranquillo. Abbiamo votato ieri, tutto come previsto, adesso dobbiamo dare solo l’ufficialità, in serata farà la solita conferenza il mio vice, io ho una pizzata che non potevo rimandare… Certo, abbiamo scelto te. Te l’avevo promesso, no? Lo sai che ti puoi fidare. Un paio di votazioni farlocche, tanto per evitare che Ranucci venga a rompere i coglioni, e poi unanimità al terzo voto. Vai sereno! Adesso devo andare, mi chiamano. Ciao cia’ cia’”.
Casa di Attilio Parisi, medico dello sport di lunga data e rettore dell’Università di Roma Foro Italico, interno notte. Tavola apparecchiata, cena pronta, TV accesa e uno spumante in fresco nel secchiello termico dell’Eurospin. Al telegiornale annunciano che il Ministero presieduto da Schillaci ha nominato, alla terza votazione di consiglio, il nuovo presidente della commissione antidoping. Attilio afferra il collo della bottiglia e inizia a sfilare la gabbietta, guarda la moglie con compiacimento, lei contraccambia e forse valuta l’idea che stasera si possa fare la mensile. Il mezzobusto del TG1 guarda in camera: “Il nuovo presidente della commissione antidoping sarà… Sarà… Sarà… Giorgio Parisi!”.
Controcampo sul cambio d’espressione di Attilio. Stupore, incredulità, infine ironia nervosa: “Ma no dai, si sarà sbagliato, al TG1 assumono sempre dei dislessici, te lo ricordi Betello?”. Ride ansiosamente e agguanta il telecomando, mette sul TG5 appena in tempo per sentire Cesara Buonamici che scandisce “Giorgio Parisi”. Click. TGLa7, Mentana: “Giorgio Parisi, fisico teorico vincitor…”. Click. SkyTG24, immagini di repertorio del fisico che ritira il premio Nobel. Click. RaiNews24: Aldo Cazzullo cita scrittori classici a caso spiegando le ragioni per cui Giorgio Parisi è la scelta migliore. Click. Rai3: la conduttrice del TG annuncia la notizia con “Nomina inconsueta per la commissione antidoping”, ma viene interrotta a metà da una schermata di servizio: con un comunicato, il direttore di rete si dissocia dalla presa di posizione della conduttrice, esprime solidarietà al governo e annuncia provvedimenti disciplinari.
Mentre sulla TV, in secondo piano sfocato, la giornalista viene brutalmente seviziata dalla Digos sulle note di Wagner, Attilio Parisi, livido in volto e ancora incredulo, lascia cadere a terra il telecomando; la moglie lo guarda con lo sguardo da pagella del primo quadrimestre di Alvaro Vitali e afferra i piatti nel gesto di sparecchiare; un rumore di zip che si chiude appena percettibile fa intuire ad Attilio che la mensile se la può scordare. Ferito nell’orgoglio e nella mutanda, il quasi omonimo del Premio Nobel si alza di scatto, afferra il telefono e si sposta nella stanza accanto. Urla e imprecazioni su promesse disattese chiariscono chi sia il suo (ovvio) interlocutore. La telefonata si conclude con “Vedi di sistemare la cosa in fretta, altrimenti ti rovino. E mi devi una scopata!”. La porta sbatte in chiusura di scena.
Nero con indicazione “48 ore prima”.
Corridoio lungo e primissimo piano su camminata in tacco 15, stile Tarantino. I piedi entrano in una stanza, di fronte due piedi con scarpe da uomo visibilmente costose. Il rumore della porta che si chiude accompagna la discesa di un perizoma lungo le gambe sinuose, il tacco destro si solleva leggermente. Buio. Primissimo piano su seno generoso e dita smaltate che raddrizzano il faldoncino della camicietta, un orologio in secondo piano informa che sono passati 3 minuti, la porta si riapre e il seno esce dalla stanza mentre una voce maschile accenna “Ciao, sono io, ti chiamo per quella nomina”. Torna il tacco 15 in corridoio; in trasparenza, passo dopo passo, scorrono targhette da porta con titoli professionali via via più altisonanti, perizomi che salgono e scendono, mani che sollevano cornette del telefono, orologi che avanzano di 3 minuti in 3 minuti. Stacco. Scrivania in legno pregiato, una Mont Blanc da quattro zeri poggia incerta su un foglietto e, tra spasmi originati dal sottobanco, fa appena in tempo a scrivere “PARISI”. La mano esausta poggia la penna, una mano smaltata afferra il biglietto e lo piega in 4.
Sede del ministero, interno giorno. Il ministro Schillaci, rabbioso e attorniato dai suoi come Hitler ne “La caduta”, sbraita “Non è possibile, ma vi rendete conto della figura di merda? Il verbale è passato per le mani di 200 persone, e nessuna si è fatta venire un cazzo di dubbio?? Dobbiamo andare in fondo alla questione, voglio il responsabile”. L’inquadratura scorre sui volti servilmente annuenti di sottosegretari e portaborse, borbottii di sottofondo, tutti sentono il nodo della cravatta stringersi. Segue carrellata di immagini sovrapposte di telefoni che squillano, mail in entrata, registri spulciati frettolosamente, porte d’ascensore che si aprono e si chiudono, labbra delatrici che sussurrano a orecchie tese. Stacco.
Chioma bionda di spalle in primo piano, tra le ciocche si intravede il ministro. Inizia un breve monologo sulla responsabilità, sul fatto che per certi errori il popolo vuole capri espiatori e bisogna darglieli, e alla fine c’è poco da fare, tutto si riconduce a quel bigliettino incompleto; la mancanza del nome è la radice di tutto, avevi un compito e non l’hai portato a termine, ma non preoccuparti; imbastiamo un finto licenziamento, aspettiamo qualche giorno che le acque si calmino e poi faccio richiesta personale di assumerti direttamente nel mio staff; certo, do ut des, tu mi capisci… La telecamera ruota intorno alla chioma in direzione del volto, mentre una mano smaltata afferra l’attaccatura dei capelli, si intuisce lo sfilamento di una parrucca…
Studio televisivo, luci fredde, scenografia ad effetto. Sigfrido Ranucci, con tracce di rossetto mal rimosso sul labbro inferiore, guarda fisso in camera e annuncia: “Abbiamo indagato sui segreti delle nomine sbagliate del ministero. L’omonimia è solo la punta dell’iceberg. Domani sera, a Report. Vi aspetto”.






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