
Qualche giorno fa sono incappato in uno short su YouTube di Eleazaro Rossi su un palco a torso nudo, con occhiali e vestaglia, che esordisce raccontando: “Qui al teatro prima di noi c’era Ambra Angiolini, e quando siamo arrivati ci hanno detto: «Fate quello che volete, ma non toccate gli abiti di scena»… Errore! Non imparate mai, ragazzi”.
Ho ripensato a quel video guardando l’apertura del Jimmy Kimmel Live di ieri, prima puntata dopo il rabbioso tentativo di censura da parte di Trump e la manifesta codardia della ABC, che ha immantinente chiuso i battenti dello show, salvo poi annunciarne la rimessa in onda a seguito di proteste, abbonamenti disdetti e solidarietà al comico da ogni dove. Ma non sono qui per dire che il capitalismo è più fragile e suscettibile di un dodicenne bullizzato, e nemmeno per ripetere che la Disney è costretta alla questua da molto tempo.
Sono qui per ribadire un’ovvietà che l’accozzaglia di craniolesi impreparati con la fissa dei nemici e dell’onore ancora non ha capito: la politica è destinata a perdere qualsiasi battaglia con la comicità, non esiste altro risultato, per la semplice ragione che politica e comicità giocano due campionati diversi. Non c’è editto bulgaro, minaccia di ritorsione o strage di fumettisti che tenga: ogni censore è solo un aspirante zimbello, e più tonanti sono i suoi proclami, più vibranti saranno le pernacchie alla fine.
Non esiste imposizione dall’alto che un comico che si rispetti non veda esattamente come Eleazaro in quel video, e non esiste conseguenza altra se non un laconico “Non imparate mai” detto ridendo con indosso una vestaglia. È sempre stato così, così sempre sarà, e così è stato anche ieri notte al Jimmy Kimmel Live. Se ne sono lette molte nei giorni scorsi, tra le scimmie ammaestrate repubblicane che si battevano il petto, i discepoli delle suddette scimmie da questa parte dell’oceano che vergavano editoriali a comando, quelli che “è stato silurato perché è scarso e non faceva ascolti”, e perfino quelli che alla vigilia del ritorno assicuravano: “si scuserà in diretta”. Poi però, finite le inutili esibizioni di muscolatura politica, sul palco è salito il comico.
Anyway, as I was saying before I was interrupted…
Ha iniziato con queste parole, e nel monologo che ne è seguito si è scusato col coso… Come si chiama… Esatto, quello. E, tra le altre cose, ha risposto alle accuse trumpiane di non fare ascolti con “Li faccio stasera. Ora dovrà desecretare i fascicoli su Epstein per distrarvi”. Un monologo splendidamente satirico di 15 minuti che sta già causando più bruciori di culo della sagra della ‘nduja, ma nell’incipit è già riassunto tutto, con una precisione chirurgica.
A qualcuno la frase ha ricordato il famoso “Allora, dov’eravamo rimasti?” con cui Enzo Tortora ritornò in TV dopo le famigerate vicende, e in effetti la battuta è simile, ma il diavolo – e di riflesso il comico – sta nei dettagli. Perché Kimmel non si limita a sdrammatizzare; non sottolinea soltanto di esserne uscito vincitore; usa l’espressione più illuminante sulla questione: “before I was interrupted”, prima di venire interrotto.
È questo che fa la politica ogni volta che entra in battaglia con la comicità: interrompe. Niente più. Come un invasore di campo nudo durante un derby, prende un paio di inquadrature sulle chiappe, il tempo di farsi dare del coglione, ma poi la partita riprende. Come Cavallo Pazzo a Sanremo, entra sbraitando “il festival è truccato, lo vince Fausto Leali”, ma poi il Festival lo vince Barbarossa e di Cavallo Pazzo rimane solo la figuraccia. Come quel tizio nel secondo Indiana Jones, agita la sciabola come un pazzo e se la crede tantissimo, ma finisce a terra al primo colpo di pistola, tutti ridono e la trama prosegue.
Interrompe e basta, come un apostrofo inutile tra le parole “sti cazzi”.
Certo, a volte l’interruzione dura più del dovuto; altre volte Gasparri sfugge alla badante e fa partire buste verdi; altre ancora qualche fumettista ci resta secco; può capitare, e ogni volta che capita vedrete i censori festeggiare e ballare forsennatamente, per il quarto d’ora che spetta ai ratti, prima che il gatto – ineluttabile – torni.
Una risata li ha già seppelliti, solo che ancora non lo sanno.





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