Ghost and shout

Uno spettro si aggira per l’emiciclo: lo spettro di quel che resta dei Beatles

Questa è una storia di ideali e cruda realtà, di opposizioni ridicole a governi pessimi (e viceversa), di coincidenze grottesche e tempismo quasi divino, di prospettiva e pernacchie, di Berlinguer e George Harrison, e del perché mi rimane una briciola di fiducia nel genere umano.

Mentre inizio questo pezzo, sul telefono mi compare un tweet non recentissimo di Bersani (il politico, non il cantante) che riassume da par suo un intervento di Draghi con “guardate che il dentifricio non tornerà nel tubetto”; quando ancora sono incerto se ridere o apprezzare la precisione della metafora, alla TV passano le immagini di Magi (il politico, non i portatori di doni al fanciullo) che saltella per Montecitorio – lenzuolo in testa e l’aria soddisfatta di quello che ha appena urlato “il re è nudo” senza la scusante dell’infanzia – e io per un attimo immagino che Dio esista, e che sia un maestro di satira.

Tra qualche settimana ci sarà il referendum – avete notato che non serve specificare quale? Fateci caso – e così mercoledì, durante il question time alla camera, Magi (quello sprovvisto di mirra) viene colto da un attacco d’arte degno di Giovanni Muciaccia alla quarta caipirinha, ritaglia due buchi in un lenzuolo con le forbici dalla punta arrotondata e fa il suo flashmob per combattere la censura entro l’ora dell’aperitivo. In quei minuti, mentre lo spettro che 180 anni fa si aggirava per l’Europa spaventando i potenti moriva definitivamente sotto il costume di Casper, la mia lettura del nuovo libro di Bersani (quello non intonato) volgeva al termine, causando una tale escursione termica tra appassionata teoria e desolante pratica che mi son dovuto asciugare la condensa sul collo.

Chiedimi chi erano i Beatles, canta uno dei migliori e più sottovalutati autori che l’Italia abbia mai avuto, e Chiedimi chi erano i Beatles è l’esortazione di Bersani (quello della metafora sul giaguaro smacchiato, non sul tagliare bene l’aquilone mentre dormo) che dà il titolo al libro e ne sintetizza magistralmente il messaggio diretto ai giovani. Io sono il passato, dice, sono fuori dai giochi, ho ancora passione e posso raccontarvi com’era, offrirvi il ricordo dei successi e l’analisi dei fallimenti di ieri, ma dell’oggi vi dovete occupare voi. Posso spiegarvi chi erano i Beatles, perchè non vadano perduti, ma non è più tempo di quei Beatles lì; non sono più gli anni ’60, ci vogliono nuovi John, Paul e George (Ringo se lo son già presi i Pinguini Tattici Nucleari) e per riconoscerli serve avere vent’anni o giù di lì.

È una narrazione appassionata, quella racchiusa tra le pagine di “Chiedimi chi erano i Beatles”, e certo, per quanto poggi su una profonda analisi della realtà, su tutto il libro aleggiano ideali astratti e utopie, cosa a cui questo tempo cretino fatto di viralità da un quarto d’ora, riconoscimenti immediati e lenzuola bucate ci ha completamente disabituato. Ma le utopie servono ancora e non sono morte, per quanto l’esistenza dei fan di Nicola Porro cerchi di dimostrare il contrario. Le utopie servono per vedere un orizzonte, non per raggiungerlo; per arrivare dove si riesce guardando comunque sempre avanti, che poi sarebbe il compito della politica, ma come lo spieghi a gente che non distingue un hashtag in trend su Twitter dal 26 de julio?

C’è un vecchio spettacolo di Enrico Bertolino – “Voti a perdere”, del 2004 – che ogni tanto riguardo e sempre consiglio a chiunque non sia ancora lobotomizzato dai Vannacci e dai deputati fantasma. A tutti quelli a cui l’ho consigliato, tra una risata e l’altra, quelle due ore di teatro in qualche modo hanno restituito un po’ di dignità a quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare politica moderna. E da oggi farò la stessa cosa con “Chiedimi chi sono i Beatles”, consigliandolo a chiunque – di destra o di sinistra non importa, non è un libro di Vespa – perché tra governi incompetenti e opposizioni impegnate a far balletti a favor di videocamera, pagliacciate parlamentari, risse tra senatori, battibecchi televisivi e prese della Bastiglia in smartworking, gli stramaledetti utopisti che hanno conosciuto John, Paul, George e Ringo sono ancora vivi e vegeti, basta volerli ascoltare mentre dicono che forse qualcosa s’è salvato, forse davvero non è stato poi tutto sbagliato (sì, puristi, l’ho scritto così apposta per innervosirvi. È satira, mettete via la lupara).

Uno spettro si aggira per l’emiciclo. Non è un onorevole senza mirra, e nemmeno il comunismo; è quel che resta dei Beatles, resiste, e offre prospettive migliori di due buchi in un lenzuolo.

Postilla: dedico questo pezzo, per quel che vale, a un grande uomo, il cui corpo ha lasciato questo mondo, ma la cui anima fischia ancora, inossidabile, nel vento.
Ciao Pepe.

Lascia un commento

ALTRI ARTICOLI RANDOM

  • Citofonare Berkeley

    Citofonare Berkeley

    Filosofie ubriache nei cioccolatini, alberi militanti in foreste vuote e una trappola

  • Se telefonando

    Se telefonando

    I poveri petrolieri generosi e quella volta che ho bloccato il Papa su WhatsApp

  • Un coyote per ministro

    I comici involontari e l’eterno complesso di inferiorità culturale della destra

  • Snobs like teen spirit

    Snobs like teen spirit

    Vasco, gli 883, la fuga ossessiva dall’età adulta e le camicie nere di flanella