Flying circus

Un racconto mistico di animali in cabina, droghe nei fazzoletti e altri misteri

Eravamo io, Karl Marx, Scooby-Doo e Macron. Gli unici ad avere il dono della parola su quel Boeing 737 diretto alle Isole Lofoten, in mezzo a un delirio di alani ululanti da dietro una grata, gatti che suonavano la tromba, mucche canterine con graziosi cappelli e un paio di iguane indifferrenti che ascoltavano death metal con le AirPods.

Per via della nuova norma sull’accesso in cabina anche agli animali domestici di grossa taglia, infatti, gli amici a quattro zampe avevano conquistato il diritto a una poltroncina di un volo low cost. Le compagnie avevano dovuto adeguare i prezzi per coprire l’aumento di spese di pulizia – o la diminuzione delle stesse, nel caso in cui l’animale prendesse il posto di Mauro Corona – e così i viaggi aerei insieme ai pelosoni costavano così tanto che nel trasportino in stiva avevano finito per andarci i proprietari. “Tutto per i nostri pet”, avevano urlato iscrivendosi al corso online per contorsionisti, e devo ammettere che condividere un volo con Scat Cat invece di chiunque usi la parola “pet” senza parlare in inglese è stato un vero sollievo.

Dei miei tre compagni di viaggio parlanti, uno solo era davvero strano si trovasse lì, e capite immediatamente che sto parlando di Marcon. D’altra parte Scooby-Doo ne aveva diritto in quanto animale finalmente ammesso in cabina, ed è noto che Marx voli spesso per partecipare alle convention Tupperware, ma perché Macron non si spostasse con un volo di stato rimaneva un mistero. All’ottava ora di volo – era un intercontinentale Capo Rizzuto-Svolvær con la nuova formula ideata da Trump e Povia: 18 ore al posto di 3 per inquinare a sfregio – il presidente francese, complici la noia e una sbronza da Whiskas, si è confidato con noi e ci ha spiegato che era necessario mantenere il profilo basso per evitare lo scandalo internazionale, dopo il polverone del suo incontro con Starmer, Tusk e Merz, nel quale lo si vede nascondere un oggetto bianco non identificato.

Ovviamente abbiamo cercato di consolarlo (io e Scooby; Marx ha cercato di vendergli un contenitore antiumidità per polveri) ma al contempo ci chiedevamo che problema potesse rappresentare un fazzoletto accartocciato che solo dei cerebrolesi potrebbero scambiare con una busta di coca. E invece un disperato Macron ci ha svelato l’arcano: il fazzoletto era solo un fazzoletto, sì, ma dentro il fazzoletto c’era un ovulo di plastica, dentro l’ovulo c’era una busta, dentro la busta c’era una bustina, e dentro la bustina c’era la forfora di Fabrizio Ravanelli.

Stavo per scoppiare a ridere, ma al nome di Ravanelli Scooby-Doo ha strabuzzato gli occhi e si è rintanato nel suo trasportino, Scat Cat ha messo il tappo alla tromba, e perfino le iguane hanno messo in pausa il disco degli Obituary e chiesto un tranquillante alla hostess. Mentre io non capivo, nell’aria aleggiavano mistero e terrore.

Il povero Macron si era ormai lasciato andare ed era un fiume di lacrime e singhiozzo. È a quel punto che Karl Marx – l’unico lucido, al solito – mi ha preso da parte per raccontarmi ciò che non avrei mai osato immaginare: nel silenzio delle istituzioni e delle organizzazioni sovranazionali, esiste un traffico internazionale di forfora dei calciatori italiani degli anni ’90. Pare che, a causa della triade Maradona-Caniggia-Gascoigne, i campi della Serie A di quegli anni abbiano compiuto una mutazione sul cuoio capelluto dei giocatori, che da allora produce una forfora dagli effetti psichedelici, e che questa sostanza sia conosciuta soltanto nei circoli chiusi della famiglia Rothschild. Possederne una dose è come ammettere di essere affiliati alle alte sfere dei poteri forti, e con ogni probabilità in quel vagone diretto a Kiev si stava tenendo un rito di iniziazione per il nuovo arrivato, il neoeletto Merz. Per questo l’ipotesi della cocaina viene lasciata circolare così, con blande smentite: perché i complottisti si acquietino e si adagino in una mezza verità senza indagare oltre.

Un turbinio di pensieri mi ha stravolto la mente, mi sentivo sfatto come dopo una scalata dell’Everest e tutte le mie certezze hanno iniziato a vacillare; ho chiesto al fidato Karl se era sicuro di tutto ciò che mi aveva appena raccontato.

Lui mi ha fissato per un tempo che è parso infinito, poi ha risposto: “Ma sei scemo? Ti sei solo addormentato mentre scrollavi Twitter, idiota”.


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