Un coyote per ministro

I comici involontari e l’eterno complesso di inferiorità culturale della destra

DISCLAIMER: Se avete bisogno di un disclaimer per capire il tono di quel che leggete, siete nel posto sbagliato. In compenso avete buone probabilità di vedervi affidare un ministero.

Una volta avevano gli intellettuali, ora sono rimasti soltanto i comici. Uso volutamente le parole e il tono del ministro della cultura – sapendole riconoscere, a differenza sua e degli idioti che esultano al grido di “sinistri rosicate” – per parlare non della sinistra, malgrado le turbe del successore di Sangiuliano, bensì proprio di quella desolante destra di cui Giuli e il suo malinteso senso del lessico fanno parte.

C’è un difetto – ce ne sono molti, ma non ho tutto questo tempo, concentriamoci su una boiata alla volta – nelle frasi piccate che il ministro ha riservato nei giorni scorsi a Geppi Cucciari, Elio Germano e in generale a chiunque osi avere un’opinione che non preveda rutti e revisionismo strisciante; un difetto dirimente, a tratti freudiano, che dice pochissimo del millantato colonialismo di sinistra sulla cultura, ma molto più sui complessi di inferiorità di una destra che più che uno schieramento politico ricorda un quattrenne offeso, paonazzo e con le orecchie fumanti per l’incapacità di replicare a una pernacchia, figuriamoci a un pensiero adulto espresso con cognizione di causa.

Il difetto (ma se avete pensato “stronzata” non stentitevi in colpa) è che il ministro, in preda alla sindrome del quattrenne di cui sopra, usa la parola “comici” in tono denigratorio, mettendoli in fondo a una gerarchia inventata in cui gli intellettuali stanno in cima e i comici in fondo, un gradino sotto agli influencer, e a questo punto sarei curioso di conoscere la collocazione di Gasparri, ma non divaghiamo. Insomma, non sapendo rispondere alle pernacchie ma neppure a legittime opinioni di chi sa di cosa parla, Giuli pensa di delegittimare pernacchiatori e opinionisti, scegliendo di confondere colpevolmente i comici di mestiere (come Cucciari) con i buffoni a loro insaputa (come lo stesso Giuli e i suoi parigrado) e mescolando come mele e pere l’adoperarsi per far ridere con l’essere ridicoli. Ironicamente, finendo esso stesso per rendersi ridicolo, ma chi glielo spiega, mentre è preso a consumarsi i calli per avergliele cantate, a quella stalinista di Geppi?

Il ministro della frustrazione parla dei comici come antipodo degli intellettuali, nella distinzione più cretina e infantile che si possa mai considerare: quella per cui i pensatori possano fare a meno dell’ironia e l’ironia possa fare a meno del pensiero. È l’approccio di chi parla a vanvera senza la minima contezza di ciò che lo circonda, e che in un mondo giusto maneggerebbe pompe della benzina invece di fondi per i teatri; l’approccio di chi ride per la buccia di banana, rimpiange il bagaglino e chiama satira le vignette del santone che rinforzano gli stereotipi invece di demolirli; l’approccio di chi vorrebbe usare le parole come un’arma da brandire per “castigare il nemico”, ma che quell’arma non sa nemmeno da che parte impugnarla, e non a caso spesso si rifugia in un inutile lessico pomposo per nascondere la propria insipienza; è l’approccio, soprattutto, di una destra a cui la parola “cultura” fa lo stesso effetto dell’aglio sui vampiri.

D’altra parte è cosa normale che lo stupido confonda lo sberleffo con l’insulto, la critica con la lesa maestà e le prese di posizione avverse come un attacco inaccettabile, e che preso da schizofrenia paranoide replichi come può; capitelo, l’hanno svegliato dal torpore dei riti celtici con la grappa e gli hanno affidato un ministero, è normale che si muova a tentoni e cerchi di sniffare i dorsi dei libri. È cosa normale che l’impreparato usi con quel tono la parola “comici”, fingendo di non sapere che comici di destra ce ne siano eccome, in tutti i media e da ben prima che loro fossero al governo, e che alcuni di essi siano pure ospiti d’onore ai loro raduni littori. È tutto normale, tranne forse il fatto di far ministri gli stupidi e gli impreparati, ma non vorrei esagerare con la logica.

È cosa normale, per quanto triste pure per me che di destra non sono, che una destra che non si avvale di intellettuali da decenni – ce ne sarebbero, ma non sapendoli riconoscere li bollano tutti come pericolosi bolscevichi non appena osano esprimere un’opinione critica – abbia dimenticato di aver avuto nelle proprie fila uno dei più grandi del secolo scorso e che, guarda un po’, è stato anche e soprattutto umorista: quel Giovannino Guareschi, fiero reazionario e monarchico ma anche solido critico della deriva della reazione, capace di un’ironia e un’autocritica ancora oggi impareggiabili. Lo stesso Guareschi i cui racconti di Don Camillo e Peppone sembrano scritti oggi, forse domani, e il cui nobile mestiere di rendere comico ciò che nella realtà è tristemente ridicolo oggi gli varrebbe il bollino di “comico di sinistra”.

È un complesso di inferiorità, quello di questa destra, che malgrado i goffi tentativi di autoglorificazione è sempre rintracciabile. È un riflesso pavloviano che scatta più puntuale della salivazione dei cani, e fa – senza volerlo, s’intende – sempre ridere . Fa ridere perché se è innegabile che una certa lottizzazione della cultura da sinistra ci sia stata in molti casi, il bisogno di ingigantirla e trasformarla in un’egemonia imposta che ha precluso illuminanti carriere intellettuali a destra è né più né meno la storia della volpe e l’uva. Fa ridere perché la cultura passa per la critica, e la critica è ciò che questa destra incapace non accetta mai, reagendo come l’ormai famigerato quattrenne paonazzo. Fa ridere perché ogni denigrazione di chi fa cultura – compresi i comici; in democrazia, soprattutto i comici – non è nient’altro che una palese ammissione di incapacità di tenere il passo della cultura.

Sento parlare, dopo le parole di Giuli, di occupazione militare della cultura da parte della destra, di tentata censura, attacchi alla libertà degli artisti e altre minacce, e vorrei dire agli amici di sinistra impauriti di rasserenarsi, ché tutto ciò sarebbe grave se fosse anche serio, ma non lo è. Sarebbe pericoloso se l’ambito non fosse quello della cultura, nel quale questi poveracci non si sanno muovere, e finché non entreranno in casa di Augias con i kalashnikov non ci saranno crimini culturali, ma solo enormi figuracce di gente incompetente.

L’atavico complesso di inferiorità culturale di questa destra fa soltanto molto, molto ridere. Fa ridere come il bambino che prende brutti voti e dice che la maestra lo odia; come Trump che taglia i fondi alle università, e lo fa con una lettera completamente sgrammaticata; fa ridere come mio zio, che non legge un libro dal ’72 ma dice che era ora che l’editoria venisse liberata dalle grinfie dei comunisti. Fa ridere come quell’unica puntata in cui Willy il coyote cattura Beep-beep, ma è un Beep-beep enormemente più grande di lui, a cui il povero coyote a malapena riesce ad abbracciare una zampa, e nel momento della conquista non può far altro che chiedersi: “Ok, e adesso cosa me ne faccio?”.

Fa ridere involontariamente, come chi non ha mestiere e nel goffo tentativo di prendere con la forza qualcosa che si prende con intelligenza e ironia, finisce solo per rendersi (di nuovo) terribilmente ridicolo.

Una volta avevano Guareschi, ora solo dei coyote.


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