Pimp my Pope

Buttate il telecomando, abbiamo un conclave e non abbiamo paura di usarlo

Tutte le cose belle prima o poi finiscono, e così anche questa liaison tra le istanze progressiste e il Vaticano potrebbe essere giunta al termine, e solo i commercialisti dei cardinali elettori sanno se il prossimo a presiedere il soglio pontificio sarà un Francesco o un Bonifacio (sono troppo fiducioso nella fame temporale della chiesa per immaginare una via di mezzo). Però una cosa è certa: il pontificato di Bergoglio ha cambiato qualcosa, e non lo si percepisce tanto dai bruciori di culo di complottisti, membri del clero, bigotti generici e almeno metà delle personalità politiche che ieri mattina stavano in San Pietro più per accertarsi della sua morte che per piangerlo contriti, quanto dal plotone di prelati – di ogni grado, colore, provenienza geografica e gusti sessuali – i quali tra un requiem aeterno e l’altro non hanno mancato di estrarre gli smartphone e far scattare le fotocamere come nemmeno i quindicenni ai concerti.

Per carità, non sarò certo io a far notare che buona parte dei porporati con iPhone avevano applaudito i 5 giorni di lutto indetti dal governo italiano – con tanto di divieti musicali e moniti alla sobrietà in occasione dell’ottantesimo della liberazione dal nazifascismo – come forma di rispetto verso una solennità alla quale però, sticazzi, si viene meno di fronte alla possibilità di uno scatto ravvicinato della bara. D’altra parte l’instagrammabilità mica si può mettere in secondo piano come il sacrificio dei partigiani. Vabbè, l’ho fatto notare, ormai è andata. Comunque non sono qui per dare ragione a Nietzsche, sono qui perché gli insegnamenti comunicativi di Papa Francesco non vadano perduti nel tempo come lacrime nello IOR.

Bergoglio ha conquistato la gente cavalcando i media e i nuovi linguaggi, affascinando credenti e atei con quel fascino tutto gesuita del prete in jeans che sa suonare “Smoke on the water” con la chitarra, e non è affatto cosa da poco. Ma la rinvigorita immagine di una chiesa che si avvicina al popolo impugnando il microfono come i rapper del ghetto rischia di essere inghiottita dal prossimo conclave e dalla sua ritualità polverosa.

Ora che i cardinali – dopo essersi ripresi dall’after party con Milingo, ça va sans dire – dovranno scegliere il suo successore, sarebbe assurdo sprecare tutto il duro lavoro portato avanti dal pontefice e tornare a camere caritatis, stanzoni freddi e sigillati, fumate di colori invisi alla Digos e intere ore di attesa. Non possiamo permettercelo, ora che abbiamo creato una società incapace di reggere la noia di 8 secondi di pubblicità su YouTube; una società che cerca su Google le scalette dei concerti prima di andarci, geolocalizza i figli da una stanza all’altra della casa, controlla il cane dall’ufficio accedendo 15 volte al giorno alla webcam del salotto e ha bisogno di rassicurazioni sul fatto che il film che sta per guardare non contenga – orrore! – elementi triggeranti come violenza, tabacco, alcol, uso di droghe, assenza di aristocratici neri nella Londra del ‘600, presenza di donne non emancipate alla corte del Re Sole, razzismo verso le persone con la pelle verde, dialoghi con preposizioni articolate o canzoni di Alan Sorrenti.

Insomma, i tempi sono maturi per svecchiare il conclave e proiettarlo nell’era di TikTok con un format tutto nuovo, senza tutto quell’inutile velluto, senza le nenie in latino (peraltro ormai ampiamente più comprensibili del linguaggio di un dodicenne sui social) e soprattutto senza tempi morti che ammazzano le dirette su Twitch.

Da questa suggestione nasce “Pimp my Pope”, il conclave più coinvolgente e ricco di spettacolo dai tempi dell’elezione di Rodrigo Borgia: migliaia di sacerdoti nel ranking, una manciata di favoriti, agguerriti underdogs provenienti dai 4 angoli del pianeta e 135 giudici in camera di consiglio a decretare un unico vincitore, in una gara all’ultimo salmo che promette di essere l’anello di congiunzione tra il Grande Fratello, Temptation Island, Giochi senza frontiere e gli Hunger Games.

Le gare eliminatorie “zero-contact” già disputate (aspersione artistica, cronobenedizione, eucarestia a ostacoli, indulgenza acrobatica, lancio della scomunica e molte altre) saranno sintetizzate in una carrellata di highlights selezionati dalla Gialappa’s Band, dopodiché si entrerà nel vivo della gara, con i migliori papabili da tutto il mondo in un’unica arena piena di durissime prove da superare. I concorrenti potranno gareggiare in solitaria o formare squadre senza nessun tipo di restrizione ma, proprio come il pontificato a cui agognano, ogni scelta può nascondere insidie. La via dell’eremita può tenerti in gioco più a lungo, ma la mancanza di solide alleanze potrebbe rivelarsi una china pericolosa; di contro, il gioco di squadra garantisce sicurezza negli scontri diretti, ma le subdole trame tessute dall’interno sono sempre dietro l’angolo.

Non ci saranno fumate nere o bianche, ma dalla control room i giudici potranno intervenire per eliminare di volta in volta lo sconfitto in un duello di rosari rotanti o aspersori ninja, la squadra rimasta con il maggior numero di santini non distribuiti a fine giornata, i positivi al chierichetto-test e chiunque dimostri di non avere il P-Factor. I giudici avranno inoltre la possibilità di spostare gli equilibri di potere in ogni momento, svelando piccoli o grandi segreti dei partecipanti a tutta l’arena per boicottare una strategia o soltanto per creare zizzania, e sarete voi a decidere se e quali rivelazioni diffondere dai megafoni, con il televoto da casa, le interazioni sui social o direttamente rispondendo all’allarme IT-Alert che scatterà sui telefoni di tutta Italia.

Per ogni eventuale situazione di stallo, gli ingegneri del format hanno pensato a decine di eventi imprevisti da poter scatenare nell’arena: calata dei barbari, invasione dei saladini, scoperte del CERN, ma anche tranelli politici, ambiguità teologali da sbrogliare, realtà storiche da calunniare e questioni di dubbia moralità da insabbiare per preservare il culto, e poi ancora eredi di Galileo, suore tentatrici, farmacisti non obiettori, sostenitori di scismi, iconoclasti mannari e molto altro. Insomma, una gara senza esclusione di colpi in cui i papabili non avranno un attimo di tregua e dovranno tirare fuori il proprio meglio per rimanere aggrappati alla speranza di accedere al Fil Rouge.

Il Fil Rouge si terrà al primo plenilunio di maggio in una Piazza San Pietro in versione Oktagon: 8 finalisti, 8 turni, 8 bibbie estratte a sorte e in ognuna un segnalibro messo tra due pagine casuali ad ogni turno. Omelia freestyle sulle sole due pagine visibili, con eliminazione del peggiore di ogni tornata, fino alla finale tra gli ultimi 2 in un doppio scontro che sarà deciso ai punti.

Entreranno in 8, ma soltanto uno ne uscirà Papa. Non perdetevi la gara del secolo.

Nuntio vobis gaudium magnum, habemus “Pimp my Pope”.


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