Tigella Meccanica

L’ultraviolenza di Prodi e le ciocche strappate: un racconto di 666 parole

Alla fine i nodi vengono al pettine. Ciò che per anni, decenni, è stato sottaciuto dai giornali di regime e insabbiato dai burocrati di Bruxelles, ora è finalmente alla luce del sole e nessuno potrà più fingere che non sia mai successo. Se con il caso Weinstein e con l’esplosione del MeToo pensavate di aver visto tutto il marcio di una società che nasconde le proprie brutture dietro i luccichii e la retorica dei buoni sentimenti, vi sbagliavate di grosso. Le vicende tristi e prevedibili di un produttore cinematografico e dell’elastico morbido delle sue mutande sono nulla in confronto agli abusi finora occultati lungo le sponde del Grande Fiume. È tempo di scoperchiare il vero vaso di Pandora.

La coraggiosa Lavinia Orefici si è fatta avanti, sfidando lo strapotere mediatico della sinistra, e ha denunciato l’inaudita violenza subita da quello che da decenni viene presentato come placido un professore e un sobrio ex-rappresentante delle istituzioni, ma che nelle lande inascoltate della pianura emiliana è soprannominato “L’Ed Gein di Scandiano”. Avete visto tutti le riprese; per quanto lo stesso Prodi si sia goffamente affrettato a millantare una semplice mano sulla spalla, le immagini valgono più di mille parole: prima il pietoso paternalismo di fronte alla ficcante domanda della giornalista, poi il raptus incontrollato, la ciocca di capelli strappata con violenza e infine la totale negazione dei fatti. Non serve essere esperti profiler per riconoscere in tutto ciò i chiari segnali di una sociopatia estremamente pericolosa, ed ora che Lavinia li ha messi a nudo – coadiuvata da indefessi eredi di Bernstein e Woodward come Nicola Porro e Maurizio Belpietro – confidiamo che le altre vittime prendano coraggio e vadano a denuciare.

Fin dagli anni ’70, i suoi paciosi lineamenti facciali e l’aura da giocatore di briscola hanno permesso al John Wayne Gacy della tigella di nascondere la propria natura violenta e prevaricatrice, ma ora il velo è caduto. Finalmente sappiamo che tutti quei racconti di un giovane e ancora democristiano Prodi in giro per le risaie a far lo scalpo alle mondine e costringere i loro bambini a recitare il manifesto di Ventotene, non erano affatto colorite fantasie messe in giro dalla reazione. Non mentivano le militanti della Margherita che parlavano di palpeggiamenti in galleria durante la campagna elettorale ferroviaria di Rutelli, e a cui – non nascondiamoci – tutti abbiamo risposto “Sarà stato D’Alema, è il suo stile”.

Avevano ragione i sempre lucidi dirigenti leghisti a disegnarlo come un mostro nei manifesti elettorali, e noi invece di sfotterli avremmo dovuto ascoltarli. Chi di noi non ha mai sghignazzato stupidamente sentendo dire che se si pronuncia il suo nome per 3 volte davanti allo specchio ci si ritrova con prelievi forzosi sul conto corrente? Io stesso sono stato in analisi per anni dopo quella volta in cui ho bussato a casa Prodi per chiedergli dello zucchero in prestito, lui mi ha aperto in pantaloni di pelle e maglietta dei Cannibal Corpse e ha dato di matto perché lo avevo interrotto mentre offriva anime a Satana ascoltando un disco di Rosa Chemical al contrario, per poi inseguirmi con una motosega fino a Sassuolo. Anni di analisi per convincermi fosse soltanto un brutto sogno. E invece.

Ora vi diranno che i capelli strappati di Lavinia sono un’invenzione, una scusa puerile per glissare sulla domanda cretina e sulla risposta impeccabile; vi diranno che per vedere un’aggressione in quelle immagini bisogna far colazione col Petrus; faranno di tutto per negare che Prodi sia il nostro Jeffrey Dahmer. Non mollate. Siamo stati ciechi e sordi per troppo tempo; abbiamo finto indifferenza mentre il male si nascondeva dietro gli occhialini del nonno di Up; abbiamo creduto a un candore di facciata mentre Prodi e i suoi drughi praticavano l’ultraviolenza. Ma una donna coraggiosa e un gruppetto di impavidi editorialisti ha aperto la strada, e ora tocca a noi mettere la parola fine ai soprusi di chi da troppo tempo si fa scudo della mortadella. L’incubo può finire. Non chiudiamo gli occhi un’altra volta.


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