La rabbia e l’orrore

Uno sfogo livoroso che non avrei voluto scrivere e forse non dovreste leggere

Devo cominciare questo pezzo con qualcosa che odio: una permessa. La premessa è che sono un insensibile, quantomeno per l’accezione che questo tempo cretino dà al concetto di sensibilità. Non sopporto le storie strappalacrime e il patetismo d’accatto, ho sempre considerato “Imagine” un’inutile paraculata buona per le pagine della Smemo e ai dolori degli altri preferisco offrire una risata verde piuttosto del solito fazzoletto blu. Per questo mi ritrovo nell’umorismo scorretto, disprezzo chi demonizza le parole e mi incazzo a morte quando si trasformano le emozioni soggettive in battaglie ideologiche, persino quelle che mi troverebbero d’accordo. Sono avulso dall’empatia di cui tanto si ciancia (male), e di fronte alle peggiori tragedie cerco sempre l’angolazione per la battuta, perché credo che trovarla significhi aver dedicato del tempo a osservare quella tragedia da ogni prospettiva possibile; è il mio modo di rispettarla, o forse sono solo stronzo.

Naturalmente, come chiunque faccia premesse, l’ho fatta perché sto per smentirla, mandando in vacca le velleità umoristiche di questo blog con un pippone serio e sanguinosamente livoroso, o forse soltanto uno sfogo che vomito qui per non pagare la psicoterapia. Non credo nemmeno dovreste leggerlo, a meno che facciate gli psicologi pro bono. Proseguite a vostro rischio e pericolo.

Su queste pagine cerco di mantenermi insensibile di fronte anche all’attualità più becera, cassando d’ufficio le prime obiezioni, banali e inutili come tutto ciò che si lascia governare dagli ormoni; a volte però non ci riesco e un punto di osservazione diventa di colpo un macigno insormontabile. Sto cercando infruttuosamente da giorni di sbriciolare quel macigno, da quando è partito ufficialmente il primo viaggio di deportazione dei migranti nei lager in Albania – questo è, se non vi piace comprate un dizionario e strozzatevici – e la mia intenzione di tradurre in umorismo pungente la rabbia che provo è passata per il camino e adesso è nel vento.

Tutto di questa operazione himmleriana è indegno della società civile di cui tanto ci riempiamo la bocca, e non c’è dettaglio o dichiarazione in merito che non gridi razzismo, classismo, menefreghismo e annullamento della politica: la felicità appiccicosa e turgida di sedicenti cristiani che godono delle sofferenze altrui, e che pagherebbero per poter aggiungere spugne imbevute d’aceto al trattamento riservato ai migranti; le supercazzole sulla sicurezza delle città italiane ristabilita spedendo in un campo di concentramento gente che a malapena ha messo piede sul suolo italiano; il primo ministro albanese che dichiara apertamente “ciò che succede all’interno delle strutture non è affar nostro” come un Ponzio Pilato qualsiasi, tra gli applausi dei catechisti; la destra tutta, politica e giornalistica, con gli occhi lucidi di nostalgica commozione per i muri di cinta, il filo spinato e le celle senza finestre; la totale mancanza di rispetto dei diritti fondamentali che ne dimostreranno il fallimento giuridico oltre che umano, ma lo dimostreranno tra qualche tempo, con ovvie sentenze di inconciliabilità col diritto internazionale, giusto in tempo per permettere all’opinione pubblica di essere tornata a occuparsi di puttanate, e alla Meloni e le sue scimmie ammaestrate di urlare contro i magistrati e l’Europa anti-italiana governata da ricchioni islamisti che vogliono portare tutta l’Africa sul pianerottolo di Vannacci.

Potrei proseguire per altri 28 capoversi; eppure lo schifo che provo verso tutto ciò è soltanto una parte del macigno, per di più la parte meno difficile da superare: mi fanno ribrezzo, e una parte di me vorrebbe vedere ognuno di quelli che sostiene questa schifezza penzolare da una corda domani, ma mentirei a me stesso se dicessi che non me lo aspettavo. Ho passato troppo tempo ad osservare questa destra incompetente per credere che lo scandalo siano i fascisti che si comportano da fascisti o gli stronzi che si comportano da stronzi; mi fanno schifo, certo, ma lanciare anatemi contro qualsiasi cosa esca dalla bocca di gente come Donzelli o Piantedosi significherebbe dar loro una rilevanza che non meritano; sarebbe come prendersela col mio cane perché non capisce quando gli dico “vai a prendermi il goniometro”. Non è il comportamento della destra a bloccarmi, non è la destra che mi impedisce di trovare l’angolazione satirica: il vero blocco di granito è la sinistra, parlandone da viva.

Me ne sono reso conto nell’unico attimo di lucidità di questi giorni, osservando le reazioni alla notizia del treno piombato diretto a Birkenau della nave militare partita alla volta delle coste albanesi per il viaggio inaugurale. Più inorridivo di fronte ai sovranisti festanti, più le prese di posizione (se così le vogliamo chiamare) delle opposizioni alimentavano un tarlo nella mia testa, finché ad un tratto il tarlo è diventato una prospettiva, l’unica possibile per un veterocomunista digitalmente insensibile come il sottoscritto: la destra fa la destra, come è prevedibile, mentre la sinistra che vorrei facesse la sinistra gioca a “caccia alla puttanata” con la speranza di finire nella social top ten di Propaganda.

Sì, certo, pure la Meloni gioca coi social per rastrellare cuoricini dai bot indiani, però il punto è che a destra hanno un’idea terrificante ma chiara, e la ribadiscono trovando scuse che – per quanto puerili e civilmente aberranti – vanno nell’unica direzione di sostenere quell’idea. A sinistra ogni obiezione, anche la più stupida e controproducente, diventa un nuovo discorso di principio, una nuova corrente separatista del PD, un nuovo punto all’ordine del giorno per l’analisi delle sconfitte elettorali dei prossimi 700 anni; ogni minimo dettaglio da sbandierare contro questa schifezza viene considerato automaticamente valido e prioritario al pari di tutti gli altri, senza scale di valori, senza ordine, senza un’idea chiara di cosa fare se non le pernacchie ai cattivoni dall’altra parte.

Non si tratta soltanto del solito discorso sugli interminabili dibattiti della sinistra, su cui hanno già detto tutto i Monty Python e UNABomber decenni fa. Si tratta della totale assenza di una direzione, di una visione che è stata e dovrebbe essere ancora la sostanziale differenza tra destra e sinistra, con buona pace delle gastriti di Grillo e degli ultimi anni di Gaber. Si tratta di totale inadeguatezza politica che si cerca inutilmente di colmare con un’adeguatezza comunicativa, inseguendo i trend dei social, gli scandali da un quarto d’ora su twitter, l’appeal a dimensione di card Instagram e l’intero compendio di minchiate in cui la destra sguazza per sua natura, e verso le quali la sinistra dovrebbe invece essere un argine.

Si tratta, soprattutto, di ribadire la distanza tra chi ha un ruolo politico vero e chi è un semplice cittadino, opinionista, aspirante barzellettiere, impiegato del catasto o nobile intellettuale; una distanza che è segnata (o dovrebbe esserlo) proprio dalla capacità di discernimento e di definizione delle priorità. Nel minestrone di argomenti che i singoli possono sollevare, la politica dovrebbe ribadire che non sono tutti uguali e importanti allo stesso modo, un concetto che invece si è di nuovo scelto di ignorare a favore dei cuoricini di chi vuol sentirsi incluso invece che rappresentato. Ancora una volta, a guidare la contestazione di un atto politico ignobile sono stati il “sentiment” sui social e i paradossi ridicoli che una sinistra decente lascerebbe a giusto appannaggio dei battutisti amatoriali e dei clown professionisti, o degli intellettuali qualora ne esistessero ancora. E invece.

Invece i governi pessimi sono fatti anche e soprattutto di opposizioni scarse, e io trascinerei il governo Meloni al tribunale dell’Aia oggi stesso, ma di questo schifo sono complici tutti quei politici di sinistra che giocano al piccolo blastatore invece di fare opposizione sui temi; tutti quelli coi titoli istituzionali nel curriculum e la foto di Berlinguer sul comodino che vanno in Parlamento a leggere discorsi scritti dai social media manager; tutti quelli, dalla Schlein in giù, che si adeguano ai temi della destra, all’agenda della destra, al linguaggio della destra convinti che il compito di un politico sia riportare pari pari le rimostranze del popolo, invece che convogliarle in una stracazzo di alternativa a questa banda di pagliacci col vizio del moschetto.

Vedo leghisti farsi le seghe su qualche decina di disperati mandati al confino, ministri che si complimentano tra loro inspiegabilmente in italiano e non in tedesco, paladini della “difesa della vita” sbattersene della dignità delle vite con pelle scura per poi annunciare i sit-in al Senato contro il terribile utero in affitto, protofascisti in estasi e altre migliaia di mentecatti con vite così tristi da trovare sollievo nel dolore degli altri. Vedo tutto questo schifo con le mani che mi prudono, eppure ciò che mi impedisce la lucidità del guizzo satirico è l’orrore che provo per la mia parte.

Provo orrore per una sinistra che muore sotto i colpi di politici inadatti, buoni forse per i TikTok, che insistono a calcare la mano su quanto sia costato il lager albanese, e quanto ci costa il viaggio della nave da guerra, e guardate qui, un equipaggio di 80 persone per trasportarne 16, e vi lamentavate dei 35 euro e adesso siete felici di spenderne 18.000. Provo orrore per chi dovrebbe picchiare i pugni in Parlamento e inchiodare il governo alle proprie responsabilità, e invece, per far contento l’internet e finire nei meme, sposta il dibattito su numeri e costi invece che sulla questione sociale e umanitaria, dando in pasto i principi e la politica seria al più ignobile dei riflessi capitalistici: quello del sottolineare che un atto terribile sia fatto “coi soldi degli italiani”, con la stessa inconsistenza di chi si indigna per i bambini costretti a cucire i palloni “per 1$ al giorno”, come se il problema fosse la paga oraria e non il lavoro minorile.

Lo so, il discorso si è fatto pesante, è uno sfogo inutile e non c’è nulla da ridere, ma avevo bisogno di farlo. Vorrei essere bravo come Luca Bizzarri a trattare questi temi con la giusta sensibilità – sensibilità vera, non quella degli eufemismi – ma purtroppo non lo sono, e il tarlo continua a ripetermelo. Se siete arrivati fin qui senza andare in analisi, beati voi. Io riprenderò a tentare di far ridere dal prossimo pezzo, spero. Mi fermo qui, non so nemmeno come chiudere. Ci vorrebbe una citazione, una sintesi, un sogno eretico.


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