Rassegna stanca

Di materiale politico senza corpo e della disperazione di un umorista logorroico

Quello che state per leggere non è un pezzo di satira, ma un disperato grido d’aiuto; una presa di posizione contro un malcostume culturalmente devastante che avanza da anni e sembra non volersi più fermare, triturando ogni rimasuglio di quella che un tempo si poteva chiamare società civile. C’è una categoria di persone sempre più bistrattata in Italia; una minoranza cui nessuno presta attenzione e il cui destino è inesorabilmente segnato dalla continua prevaricazione perpetrata nel silenzio del popolo e delle istituzioni, e ovviamente io prendo a cuore la questione perché faccio parte di questa minoranza, o quantomeno mi ci percepisco, chi siete voi per dire che non è così? Satirofobi!

Ogni giorno centinaia, forse migliaia, di autori satirici o aspiranti tali navigano nei meandri dell’attualità e della politica, alla ricerca di spunti validi per restituire alla società civile quell’equilibrio tra serio e faceto che tiene lontana l’umanità dalla sempiterna follia orfana di prospettiva. Ogni giorno, migliaia di antagonisti di tale equilibrio, che nel tempo hanno guadagnato posizioni dominanti e ruoli istituzionali, distribuiscono volontariamente – non c’è altra spiegazione se non il dolo, con buona pace di Hanlon – piccolezze umane e politiche, questioni minuscole trattate con tono da gran rivoluzione o questioni enormi affrontate con dialettica da asilo nido, ed è arrivato il momento di dire basta.

Se oggi sono qui a denunciare il pericolo che corre la società civile a causa del dilagare di politici ridotti a sbiadite parodie di ben più solidi sketch guzzantiani, però, non è soltanto perché ultimamente sto sotto sindrome da pagina bianca più spesso di Gasparri coi cruciverba facilitati e da settimane fatico a ironizzare su una qualsiasi impresa della nostra classe dirigente per più di tre capoversi, ma anche e soprattutto perché sento di essere corresponsabile di questa deriva, e confido che altri come me evitino di voltare lo sguardo di fronte alle nostre colpe; ai nostri peccati laici. Dobbiamo mettere un freno, e dobbiamo farlo al più presto.

Per troppi anni ci siamo crogiolati nella pacchia del berlusconismo e adesso stiamo pagando le amare conseguenze della nostra pigrizia. Non ci rendevamo conto – mentre le mele al sapore di figa e i cucù alla Merkel del capocomico ci suggerivano la linea – che un giorno ci saremmo pentiti di tutto quel bengodi e di quelle giornate libere con il pezzo sapido da 14 cartelle bell’e pronto prima di pranzo. Non abbiamo visto, inebriati come eravamo da personaggi improbabili che parevano doni di Momo calati dall’Olimpo, quanto ogni nuovo protagonista fosse più vuoto del precedente, le obiezioni sempre più elementari, le contraddizioni sempre più ovvie, il raggio d’azione sempre più stretto, e quanto tutto ciò ci stesse trascinando inesorabilmente verso il baratro del battutismo spot e delle pernacchie fatue.

Quante volte, compagni, vi siete messi a scrivere d’una dichiarazione di questo o quel ministro, degli scivoloni lessicali d’un onorevole con la dizione di Martufello o della figuraccia videodocumentata d’un sottosegretario sbronzo alla sagra dell’ossobuco? Quante volte vi siete poi resi conto, dopo pochi istanti, che lo spunto si esauriva lì e i bei tempi dei pezzi da mille parole sulla barzelletta inopportuna di San Silvio erano ormai acqua passata? Quanti articoli avete ridotto a tweet tutti uguali sperando in una citazione in diretta da Zoro? Quante solfe sovraniste avete allungato, nei restanti articoli, con le stesse battute e gli stessi abusati riferimenti alla cultura pop?

Settimana scorsa ho iniziato a scrivere un pezzo, e dopo una buona intuizione per il titolo mi sono reso conto che non c’era altro da dire, oltre quella sintesi di otto parole. Era già tutto lì, sintetizzato in un ermetismo sarcastico che sono troppo conscio di non essere Ungaretti o Crozza per pensare fosse merito mio. Il problema è nel materiale grezzo, che a prima vista sembra tantissimo e somiglia alle gloriose imbeccate del nano di Arcore, ma all’atto pratico manca abbondantemente di corpo e noi fingiamo per sopravvivenza che non sia così, come quel vostro conoscente che congela il brodo avanzato per usarlo come fosse un dado giurandovi che il risultato, una volta immerso in un ulteriore litro d’acqua, è buonissimo e dal sapore per nulla annacquato.

Lo so che ora state pensando che tutto ‘sto sproloquio sia soltanto un trucco per glissare sulla mia scarsa fantasia – e certamente lo è, perché negarlo? – ma in virtù di quel titolo ermetico mai divenuto articolo ho deciso di fare la mia parte nella protesta contro il continuo sabotaggio da parte del potere nei confronti della satira, denunciando ogni tentativo di riduzione al battutismo elementare e allo sberleffo reazionario con una rassegna stanca – quasi esausta, a dire il vero – delle imprese vuote e insapori, nonché estremamente dispersive per la quantità di temi toccati, con cui la politica cerca di rovesciare gli equilibri della nostra sanità mentale.

Se pensate che la stia prendendo un po’ troppo alta, tenete bene a mente che la breve lista che segue è una riassuntiva e assolutamente non completa selezione di fatti o dichiarazioni (con relativi spunti ironici tristemente esaustivi della vacuità delle rispettive questioni) che hanno occupato prime pagine dei quotidiani, siti di informazione o trend sui social soltanto negli ultimi 7 giorni. E solo per mano di membri dell’esecutivo o fiancheggiatori di esso; vi risparmio la guerra a cuscinate nelle opposizioni per amor di decenza.

  • Musumeci dice agli alluvionati dell’Emilia-Romagna che i soldi per la ricostruzione non ci sono, e che serve l’obbligo di assicurazioni private (certo, i soldi ci sarebbero se l’idea di delegare i bisogni di una collettività in emergenza a chi ne fa un business fosse, quella sì, definita “pizzo di stato”, e non le tasse che invece quel vergognoso pizzo lo scongiurerebbero; ma d’altra parte se così fosse saremmo un paese civile, io non starei scrivendo questa invettiva e Musumeci farebbe il lustrascarpe).
  • Rita Dalla Chiesa rimane bloccata su un treno in ritardo e invoca l’accusa di sequestro di persona per chi gestisce le ferrovie (Chi le gestisce, in quanto Ministro dei Trasporti, è Salvini, al quale la stessa Dalla Chiesa, per voce sua, del suo partito e del governo, ha espresso totale solidarietà nel processo in atto per la medesima accusa, evidentemente giusta se fai tardi all’aperitivo ma vergognosa se mossa a chi trattiene 150 disperati in mare aperto rifiutando loro un porto sicuro).
  • Vannacci organizza in Puglia un raduno dei suoi sostenitori, prenota una sala per 100 persone, non si presenta nessuno e spostano la riunione in un panificio lì vicino. (Questa fa già ridere così, cos’altro vuoi aggiungere? Nemmeno la battuta ci lasciano, ‘sti stronzi).
  • Il neoministro della cultura Alessandro Giuli, sostituto di Sangiuliano, cerca di sedare le polemiche dopo la sua nomina dicendosi pronto a laurearsi in filosofia vent’anni dopo aver abbandonato prematuramente l’università. (Immagino si laureerà con una tesi riguardo la meritocrazia e i ruoli istituzionali come allegoria degli a priori kantiani).
  • Meloni riceve un premio da Elon Musk, tra uno sguardo languido e l’altro, e nel suo discorso di ringraziamento cita Michael Jackson (Cita “Man in the mirror”, canzone che parla di cambiare il mondo iniziando da sé stessi smettendo di ignorare chi chiede aiuto e fingiamo di non vedere. Mentre lo citava dagli Stati Uniti, a Roma i suoi approvavano la repressione delle proteste e il carcere per chi sciopera. Chissà chi è l’uomo che vede lei nello specchio; io un’idea ce l’ho).
  • Lollobrigida risorge dal torpore degli scorsi mesi e, invece di fare il punto sulla peste suina che sta decimando gli allevamenti italiani, se ne esce col “servizio civile agricolo”: mille giovani mandati a 500 euro al mese a lavorare nei campi in nome della Patria (mi sfugge quale sia il Servizio che la Civitas riceve da un trucco per permettere agli imprenditori agricoli di sfruttare manodopera senza assumere, ma – demagogia per demagogia – a ‘sto punto mandiamoci gli evasori fiscali, a raccogliere patate in compensazione finché non rientrano del debito; chissà come mai il collega della Santanché non ci ha pensato).
  • Claudio Borghi – sì, lo so, fa già ridere così, ma fatemi finire – vuole abolire le raccolte firme online perché “con lo SPID è troppo facile! Chiunque con abbastanza follower può raccogliere 500.000 firme” (Naturalmente vuole l’abolizione perché il referendum per ridurre i requisiti di tempo di residenza per la cittadinanza è stato un successo di firme e andrà votato, a differenza delle decine di raccolte della Lega finite nel cestino; la realtà, tanto per smentirlo di nuovo, è che delle 21 proposte attualmente sottoscrivibili online, 16 non arrivano a un decimo delle firme minime richieste, e solo 2 hanno raggiunto il quorum, guarda caso entrambe invise a Borghi, il quale peraltro è esso stesso ben lontano dal mezzo milione di follower che “chiunque può avere”).
  • Irene Pivetti è stata condannata a 4 anni di reclusione per frode e evasione fiscale con un meccanismo di vendite fasulle di automobili Ferrari a clienti cinesi; ovviamente ha dichiarato di essere un’innocente perseguitata dalla giustizia (e l’ha dichiarato con una tale foga che vien da pensare qualcuno le abbia detto che i 4 anni di reclusione vanno scontati guardando ininterrottamente le fiction di sua sorella).
  • Il governo, per volontà di Giorgia Meloni in primis, ha approvato l’istituzione di una “Agenzia per la sicurezza delle attività subacquee” (Al di là del “Subbaccqui!” vulviano risuonato in ogni dove, mi domando cosa pensano di dover sorvegliare sui fondali di un mare chiuso; forse hanno visto dei giornalisti di FanPage travestirsi da sogliole; o forse vogliono solo accertarsi che non ci siano ONG umanitarie che operano coi sommergibili. Misteri della subbaccqueria).

Ok, penso possa bastare. Per oggi la rassegna stanca finisce qui, ma tornerà ogni sabato finché questa desolazione di spunti validi non finirà. Finché non smetteremo di accontentarci di dibattiti a dimensione di tweet e ci alzeremo tutti insieme, come comunità o anche solo come appassionati umoristi, a chiedere a gran voce ai nostri politici – visto che di saper fare il loro mestiere proprio non se ne parla – almeno di mostrarsi degni di una satira che vada oltre i due capoversi. Hasta la logorrea, siempre!


Una replica a “Rassegna stanca”

  1. Avatar Rassegna stanca del 5 ottobre – Plautocrazia

    […] l’inascoltato grido d’aiuto della scorsa settimana, prosegue imperterrito il vuoto tombale di spunti satirici validi offerto dai nostri governanti. […]

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