
E alla fine la profezia si avverò. No, non mi riferisco a quella funesta terzina di Nostradamus che ha predetto che un giorno Paul Newman a Venezia sarebbe stato soppiantato da Timothée Chalamet; mi riferisco a quella canzone di Gigi D’Alessio che ad un certo punto parla di domeniche d’agosto e neve. E no, non sto neppure parlando di una nevicata fuori stagione sul Cervino, del cambiamento climatico e di tutte quelle cose che turbano i viaggi in acido dei senatori leghisti; sto parlando di ciò che è successo nel weekend in quel della Valle dei Templi ad Agrigento: non semplicemente la neve (o presunta tale), ma tutto il carrozzone natalizio fatto di alberi con le palline, outfit invernali, tre sbiaditissime copie di Michael Bolton sul palco, e uno stucchevole alone di bontà al gusto tartufone che poco si confà alle bestemmie da caldo torrido di questi giorni.
Sabato sera – e credo anche domenica ma mi auguro di aver capito male – di fronte a un parterre tutto esaurito di spettatori paganti intabarrati come Totò e Peppino alla stazione di Milano, Il Volo – che non si sa perché, con un nome così, non emigrino definitivamente risolvendo a tutti noi fissati con la sintassi il dubbio sulla coniugazione dei verbi corretta per un terzetto con il nome singolare e pure l’articolo – stava (stavano?) sul palco agghindato per l’occasione con tanto di alberello, a cantare un filotto di canzoni natalizie fingendo che invece dell’estate stesse finendo l’avvento. Premesso che togliere visibilità ai Righeira nel periodo delle royalties è davvero una cattiveria gratuita, su questo famigerato “concerto evento” (che espressione orribile, sono pentito, ridatemi l’abuso di anglicismi) e sul pubblico che ha deciso di partecipare ho moltissime domande.
Prima fra tutte: davvero in Italia c’è così tanta gente disposta a pagare (pure parecchio) per vedere quei tre dal vivo? Voglio dire, sono poche migliaia, ma mi sembra comunque un numero preoccupante. Chi ha avuto l’idea dei cannoni sparaneve (poi cassata, forse dall’unico che ha finito le elementari) lo sa che quei cannoni non sparano neve già pronta e che farli funzionare il 31 agosto ad Agrigento con 35 gradi è come chiedere a Pio e Amedeo di recitare il Re Lear? Perché il concerto era vietato ai minori di 14 anni? Capisco la voglia di trasmettere serenità eliminando i marmocchi da un quadretto altrimenti nevrotico, ma all’impennata dei prezzi delle babysitter e al conseguente crollo del paniere ISTAT chi ci pensa? Il vuoto creatosi nei magazzini delle tintorie, prese d’assalto anzitempo da quelli che avevano portato il loden a lavare a marzo, può creare un vortice spazio-temporale in grado di risucchiare il mondo in un’altra dimensione? E in questa ipotetica dimensione esisterà ancora Adriana Volpe?
Eppure, a tutte queste domande che immagino stazionino senza risposta anche nei vostri pensieri, a tutte le polemiche e le sfaccettature di questa vicenda grottesca, manca una questione fondamentale, forse la più importante. Certo, la Sicilia da mesi è costretta a razionamenti dell’acqua, nell’entroterra ormai si lavano i denti con l’acquaragia, i turisti scappano e forse il milione di euro stanziato dalla regione per far cantare i Trettrè Il Volo si sarebbe potuto destinare a qualcosa di più utile e necessario. Certo, un paese che trova normale infilarsi guanti, cappelli col paraorecchie e soprabiti di fustagno per fingere tutti insieme che sia Natale, senza essere comparse stipendiate da un qualche regista bizzarro, e anzi mettendocene pure di tasca propria, è evidente sia destinata a ripetere gli errori fatti con Odoacre, e che la storia insegnava ma noi eravamo al bar a fare colazione. Certo, il trucchetto di fingere il Natale ad agosto potrebbe ripetersi con altri eventi o addirittura diventare un trend, finendo per convincere Michael Bublé a pubblicare dischi anche in estate, e nessuno di noi può dirsi pronto a una tale catastrofe. Ma in questo stillicidio a svariati livelli della dignità umana c’è una categoria che più di tutti soffre, nel silenzio assordante delle istituzioni: i bagarini.
Ora devo fare una precisazione, prima che qualche diplomato al classico vada in cortocircuito: con “bagarini” non intendo solamente quei loschi figuri armati di marsupio che non hanno mai imparato a pronunciare correttamente la parola “biglietti” e che si aggirano nei pressi dei luoghi da concerto con invitanti mele rosse posti in prima fila da offrire ai passanti in cambio di un mutuo un piccolo contributo. La parola “bagarini”, in questo caso, include tutto lo svariato mondo – che non saprei altrimenti definire – di bigliettai improvvisati, stampatori di magliette coi transfer, spacciatori di braccialetti luminosi e instancabili venditori ambulanti di “accquaebbirraragazziaccquaebbirraaa!!”. Ecco, è a tutti loro e al bilocale di Pozzuoli in cui vivono tutti insieme, che va il mio pensiero in queste ore difficili.
Questo è il punto in cui vi indignate per il supposto razzismo regionale dell’ultima frase, dimostrando così di essere al massimo dei milanesi incarogniti. Gli amici napoletani sanno che è il loro accento a tenere in piedi l’indotto all’esterno dei palazzetti e sono sicuro ne staranno ridendo; sempre che non siano impegnati nel turno di vendita degli starlight. Comunque, proseguiamo.
I bagarini, dicevo. Sono ormai 20 anni che giro per concerti più di quanto qualsiasi consulente finanziario consiglierebbe, e la costante di ogni concerto è la loro inossidabile presenza, corredata da un catalogo di prodotti in vendita che è sempre quello più adatto. T-shirt degli artisti, fascette, bandane, poster, acqua e birra, gli evergreen, ma anche ombrelli e mantelline in caso di pioggia, felpe pesanti per le giornate più fredde, salviettine alla citronella nella bassa padana, manuali di esorcismo post-concerto per i genitori dei fan di Geolier, e così via.
Sono preparati ad ogni evenienza e nulla li prende mai alla sprovvista, che si tratti di un temporale estivo improvviso, un improbabile sole cocente novembrino, una tempesta di sabbia o qualsiasi altro evento inaspettato; ricordo ancora il primo concerto in cui ci obbligarono a quel rito sadico e irragionevole che è la rimozione dei tappi delle bottiglie all’ingresso: nessuno lo sapeva prima, non c’erano state indicazioni in merito, senza contare che era (ed è) un’idea così cretina che mica te la puoi immaginare in anticipo. Insomma, lasciamo i tappi all’ingresso, entriamo un po’ increduli con le bottiglie a rischio rovesciamento in mano, e pochi metri oltre i controlli passa un ragazzo strillando “tappiragazzitappisolodueeuro”. Fenomenali.
Ecco, io me li immagino nei giorni scorsi, nel loro distaccamento siciliano, a saltare da un concerto all’altro, dagli stadi alle piazze con l’armamentario estivo di abiti leggeri e prodotti per gente accaldata e assetata, quando ad un tratto arriva una telefonata e li informa che c’è da seguire un finto concerto di Natale nella Valle dei Templi a fine agosto. Me li immagino insistere per mezz’ora a credere che sia uno scherzo scemo, e poi, una volta accettata l’infausta realtà, mettersi di buona lena a capire che fare:
- Sì, ok, le t-shirt le portiamo, ché quelle vanno sempre, e poi?
- Poi deodoranti. Sai cosa succede ad un essere umano sotto un paltò a 35 gradi?
- Giusto, deodoranti. Tantissimi. Poi?
- Poi berretti, sciarpe e guanti di lana. C’è sempre qualcuno che li perde o si accorge all’ultimo di averli lasciati a casa.
- Ombrelli? Mantelline?
- Ma cosa sei, ubriaco? Sono 4 mesi che non piove e di colpo serve l’ombrello?
- In effetti… Ok, niente ombrelli. Altro da escludere?
- Niente roba per bambini, che tanto li hanno vietati.
- Ah, già. Ma perché poi?
- Ma che ti frega? Di tutte le assurdità di ‘sta trovata ti preoccupi dei bambini?
- CD di Natale degli scorsi anni ne abbiamo? Anche roba più vecchia.
- Io dovrei averne uno stock di Bublé, però dovrei controllare di che ann…
- Vai, andata!
- Scusate, ma non dovremo infagottarci pure noi, vero?
- Eh sì, per forza. È una roba che registrano per la TV, mica possiamo finire sullo sfondo di qualche inquadratura in ciabatte e canottiera.
- Ma cosa vuoi che ci inquadrino?
- Vabbè, non si sa mai: dress code come se fosse appena nato il bambinello.
- Ma voi siete fuori! Ma vi rendete conto che è da deficienti? Io non ci penso neanche!
- Poche storie, il lavoro è lavoro.
- Sì, certo, e poi? Vin brulè e panettone invece di panini e birre?
- …
- …
- …
31 agosto, Valle dei Templi. Loschi figuri si aggirano con borsoni zeppi di vestiti invernali, banchetti pieghevoli, scatoloni a marchio Bauli fuori stagione, un pentolone di ghisa particolarmente sospetto e stoviglie varie. La dedizione è evidente sulle fronti sudate coperte da pesanti cappelli di lana coi pon pon; l’opinione sulla brillante idea dell’amministrazione di simulare il Natale si percepisce limpida tra i fumi infernali del vin brulè in preparazione e la voglia di Mottarello. Iniziano ad arrivare i primi spettatori, col fiato corto per la camminata e perché sono conciati come allevatori d’alpaca delle Ande; sullo sfondo, le rovine dei Templi se potessero parlare direbbero a Bersani che non c’è soltanto Vannacci da chiamare coglione; passano di fianco al banchetto dei bagarini in versione “alpini con la grolla” e ridono. Loro. Ridono. Qualcuno, particolarmente preso dal metodo Stanislavskij, o più probabilmente colpito da un’insolazione, compra un CD di Michael Bublè del 2004.
Verso la metà cottura del vin brulè, la sfilata dei pastorelli del presepe finisce e il concerto inizia; le telecamere puntano tutte sul palco, e si spera lo facciano anche i microfoni direzionali, visto che dal banchetto arrivano distinguibili echi di bestemmie di livello olimpico. I Trettré dalla voce tonante si esibiscono e refoli d’aria fresca regalano momenti di giubilo che il montaggio TV farà coincidere con un qualche Do di petto o simili. Poi, alla fine di un tempo indefinito, tra le felicitazioni, gli auguri e i babbi Natale in gommapiuma, tutti si avviano verso l’uscita e loro sono ancora lì, pronti a vendere fette di pandoro e vino caldo a gente ormai disidratata che firmerebbe assegni per una granita, con la sadica sapienza partenopea di chi lo farà anche per soldi, ma una risata avrà pur diritto a farsela.
Alla fine il lunario è sbarcato, nonostante la totale assenza delle istituzioni di fronte a contanti indefessi lavoratori; il vin brulé è finito – quelli hanno pagato per essere lì vestiti come a Kitzbühel, vuoi che facciano i difficili con del vino speziato? – i deodoranti si vendono praticamente da soli e le t-shirt vanno a ruba perché nessuno ha pensato di portarsi una maglietta di ricambio al concerto di Natale. O forse erano vietate pure quelle, vai a saperlo. All’uscita ci si domanda scherzosamente “che fai a capodanno?”, qualcuno si chiede come mai non abbiano sparato la neve, qualcun altro si strugge per essersi perso Una poltrona per due, ma nessuno, proprio nessuno, si chiede perché nessuno pensa ai bagarini.






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