Borghi in the Sky With Diamonds

Cronaca di un weekend lisergico tra un senatore allucinato e i suoi adepti

Quella che state per leggere è una storia di crisi creativa, dedizione e sacrificio. È il racconto di un viaggio di 36 ore in un luogo di fantasia; un luogo dal quale le regole del tempo e dello spazio sono state bandite da un pezzo, e l’uso della logica è più malvisto dei movimenti d’anca di Kevin Bacon a Bomont. È qualcosa che George Harrison avrebbe musicato se – invece che nell’ashram di Maharishi – i Beatles fossero entrati in una versione della Family di Charles Manson sceneggiata dai Vanzina. Un’esperienza mistica che mi sento di consigliare a tutti al posto della droga, ma andiamo con ordine.

Sabato pomeriggio, interno giorno. Sono davanti allo schermo; di fronte a me una pagina bianca e nella testa la voglia di trovare uno spunto originale. Spulcio qualche quotidiano online, leggo un paio di recensioni, mi affaccio sulla politica interna sperando di non ritrovarmi sulle spalle la solita scimmia con le sembianze di Guzzanti a ripetermi “Fare satira politica è importante, ma commentare Salvini fa tristezza”. Niente da fare: ha vinto ancora Corrado. Sto per dichiarare la resa e ripiegare sul repertorio jolly, riprendendo la stesura della prossima Fenomenologia Illustrata, quando mi casca l’occhio su un freschissimo tweet del senatore complottista che Mel Brooks ci invidia. Penso ai Beatles, a Syd Barrett, ai Doors. Penso a dove saremmo ora senza George Harrison. Mi faccio coraggio e mi dico che il momento del trip volontario arriva per tutti prima o poi; ora è il mio turno.

Leggo il tweet cercando di sopportarne gli afrori mefitici e, incerto come Kurt Russell di fronte allo stargate, rispondo. Il passo è fatto, la sostanza è ingerita, ora basta sedersi e aspettare che la realtà inizi a deformarsi; non dovrò aspettare molto. Sfrutto questo breve tempo di attesa per contestualizzare – A voi? A me stesso? Non lo so più, ‘sta roba è fortissima! – e registrare sul diario il punto di partenza di questo trip in rapida ascesa, riportando il tweet in questione. Il tweet recita (sintassi e virgolette alte come nell’originale): «A “Repubblica” la notizia dell’endorsement di Rob Kennedy Jr. Per @realDonaldTrump evidentemente non interessa. Ho scorso tutte le “notizie” fino a questa senza trovarne traccia.»; segue screenshot di un titolo della sezione Salute sull’importanza di camminare a piedi nudi.

Ci rifletto un attimo e mi rassereno: la polemica pretestuosa sui “giornaloni” che nascondono le notizie invise ai poteri forti è uno dei livelli più innocui nella Scala Borghi; sarà un trip sicuro, a prova di principiante, posso rilassarmi. Mi resta ancora qualche secondo, prima che la botta salga, per annotare sul diario un paio di constatazioni: l’articolo di Repubblica sulla notizia in questione non solo (prevedibilmente) c’è – nella sezione Esteri, ohibò – ma, essendo l’articolo pubblicato venerdì, troneggiava in prima pagina venerdì sera, quasi 24 ore prima che il senatore dalle lunghe apnee spolliciasse sullo smartphone stupendosi del tempo che passa come Maria Antonietta di fronte al pane stantio. Chiudo il diario appena in tempo: il Red Ronnie di Palazzo Madama legge la mia constatazione con annesso screenshot della notizia effettivamente data, replica piccato e si retwitta da solo per chiamare l’adunata degli adepti. La psichedelia ha inizio.

Fase 1: dissociazione. Si scopre (si fa per dire) che “ho scorso tutte le notizie”, nel magico mondo di Borghi, significa “ho scrollato l’home page”. È lui stesso a certificarlo mettendo il link alla home page di Repubblica – home page la cui didascalia recita stranamente “News in tempo reale” invece che “Notizie passate e cruciverba già fatti” – abbozzando un “Tiè, prova a vedere se la trovi” col tono di ogni uomo in ogni epoca di fronte alla moglie che gli spiega in quale cassetto stanno i calzini di Goldrake. Accorrono i primi fedelissimi con gli angoli della bocca ancora umidi e sbraitano “Confermo, non si trova”. I sensi iniziano ad essere intorpiditi, percepisco una leggera levitazione e non sono più sicuro che quella in cui mi trovo sia la mia (Mia? Tua? Chi sono io? Chi sei tu?) stanza. Da lontano risuonano i Jefferson Airplane.

Fase 2: psichedelia quantistica. I contorni della realtà si sfocano, strane spirali fluorescenti fanno la loro comparsa nell’etere quando illustro l’ovvia linearità del tempo al Mike Wazowski della media padana. È il distacco definitivo: la stazione di partenza è ormai perduta nella nebbia, mentre il mantra degli iniziati che passa senza sussulti encefalici da “La notizia non c’è” a “Vabbè, però non è in prima pagina” mi dà il benvenuto su un binario in totale assenza della forza di gravità e delle basilari regole del mondo. Mi trovo ora in un limbo onirico nel quale riecheggiano sghembi i commenti con la scritta “sdeng”, a significare che l’esistenza provata di un articolo sarebbe smentita/zittita/asfaltata dal link di una pagina internet in costante aggiornamento. La materia è ormai un nugolo di particelle indistinte che vorrebbero anche assumere una forma, ma ad osservarle – in quel lembo di terra tra l’ipofisi e il west – ci sono solo allucinati che fan fatica con le chiusure a strappo, figuriamoci con la teoria delle stringhe. Le orecchie sono ovattate, i suoni si fanno barocchi. Giurerei di aver visto passare Salvador Dalì col suo formichiere.

Fase 3: salto nel vuoto. Lascio la bassa milizia alle proprie onomatopee, prendo la rincorsa e mi lancio nel dialogo con alcuni vassalli, apparentemente dotati di capacità oratorie minime, dei quali riesco però a ricordare soltanto scampoli di teorie, dato che la mia attenzione viene rapita dalle mie stesse mani, le cui dita crescono di numero ogni volta che ricevo input come “Una persona normale scorre il sito, non è che si mette a cercare”, “È stata messa in home page di sera apposta per non farla leggere” o “Neanche al TG5 ne hanno parlato”. Percepisco piccoli sussulti in corrispondenza di un congiuntivo azzeccato; i segni di punteggiatura si trasformano in piccoli fuochi d’artificio che paiono infrangersi contro un cielo disegnato, finendo per colare in rivoli di intonazione casuale; obietto il minimo indispensabile e lascio che il flusso allucinogeno mi pervada, come l’aria nella vela di un deltaplano prima dell’impennata. Siamo quasi in quota. Sai Baba, da una crepa nello spaziotempo, mi fa l’occhiolino e mette un disco dei Gong.

Fase 4: pilota automatico. Sono nel caleidoscopio dei sentimenti; Frengo mi passa sottobanco una playlist mixata da Virus dal titolo “Metti del tabacco in quello che fumi”. È la colonna sonora perfetta: mollo le briglie, metto il pilota automatico per rispondere al vortice dei seguaci di Capitan Farlock e mi godo il viaggio. Tutt’intorno, brillantissime teorie sul complotto dell’impaginazione disegnano orbite irrazionali, cori di “il solito comunista” sfiatano ribollenti dal sottobosco, e la ridondanza di quelli che dopo aver commentato si retwittano da soli dà un nuovo senso al concetto di dejà vu. Vedo distintamente i versi di “While my guitar gently weeps” illuminare l’orizzonte, saluto George, vado in planata.

Fase 5: perturbazione. Non poteva durare per sempre, e a ricordarmi che non sono Syd Barrett torna nuovamente lui, lo Shoichi Yokoi del Tycoon. Ispirandosi alle orbite irrazionali di cui sopra, e strizzando l’occhio alla discografia di Povia, il senatore esordisce con (ricopio) “Chi se ne frega di quel che c’era ieri” per poi esporre in maniera sgrammaticata tutti i motivi per cui le insufficienze sono colpa della maestra che ce l’ha con lui. Nella concitazione per il vuoto d’aria il pilota automatico salta, e i colori si fanno più cupi quando Zio Fesser si retwitta da solo ancora una volta, chiamando a raccolta il distaccamento di Mordor del suo fan club. Nuvoloni neri galoppano dove fino a poco fa regnavano i quadri di Klarwein. Mi limito a riassumergli nuovamente la sequela di idiozie imbruttite che ha espresso e mi preparo alla discesa. Borroughs mi dice di stare sereno, ma lo vedo che traffica affannosamente con la cintura di sicurezza. Scrosci di pioggia, qualche fulmine, rimbombano canzoni dell’ultimo periodo dei Doors.

Fase 6: la picchiata. L’illusione di una discesa moderata scompare con l’ingresso in scena di un paio di soggetti armati di gergo da ultrà e pelliccia di leone, nonché di una dedizione tale al borghismo fondamentalista che i figli di Goebbels si sono consolati. Abbiamo scollinato, ma dietro la collina l’unica cosa curva sul tramonto è Borroughs che vomita copiosamente, vai a sapere se per il senso o per la sintassi di quel che gli tocca leggere. Cerco di afferrare ogni residua briciola di psichedelia mentre l’andatura accelera vertiginosamente; c’è ancora qualcosa, lampi di antivaccinismo a sproposito, brevi accenni a grandi burattinai al soldo di Satana, riferimenti a Prodi. Mi attacco a questi piccoli riverberi lisergici come fossero bolle d’aria in una vasca che si va sempre più riempiendo di frustrazione, insulti puerili, immagini grottesche e altri liquidi densi. Lo schianto si avvicina, le orecchie si tappano, fuori il mondo è un quadro di Francis Bacon. Chiudo gli occhi.

Quando riapro gli occhi sono di nuovo seduto di fronte allo schermo. Il bianco della pagina vuota mi rimpicciolisce le pupille e mi sento sfatto come se avessi corso otto maratone sui tacchi. È lunedì. Sono passate 36 ore. Flebili notifiche di baldanzosi commentatori in ritardo mi ricordano dove sono stato, mentre un mignolo sbattuto contro la porta mi conferma che il viaggio è finito. Raccolgo le pagine confuse del diario, le sfoglio affannosamente cercando la mia “See Emily play” senza trovarla; mi consolo con l’originale. Scrivo tutto prima di dimenticare, come dopo aver sognato il prozio che ti dà i numeri da giocare al lotto. Poi mi riaffaccio sul profilo Twitter del senatore: pubblica foto del cane tra una condanna allo strapotere delle banche e un discorso sui pistoni toscani del motore Ferrari.

Mi tenta. Resisto. Metto su Sgt. Pepper. Trovo un titolo. La chiudo qui.

Viaggiate in acido responsabilmente.


3 risposte a “Borghi in the Sky With Diamonds”

  1. Avatar Nessuno pensa ai bagarini – Plautocrazia

    […] nevicata fuori stagione sul Cervino, del cambiamento climatico e di tutte quelle cose che turbano i viaggi in acido dei senatori leghisti; sto parlando di ciò che è successo nel weekend in quel della Valle dei Templi ad Agrigento: non […]

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  2. Avatar Snobs like teen spirit – Plautocrazia

    […] Giacché l’evoluzione biologica forse è darwiniana, ma quella comportamentale è di certo pavloviana, l’intero comparto della destra si è sentito preso in causa, tra ministri che muovevano roboanti accuse di “falsità sul governo”(??), Cruciani che chiede “Vasco, ma che ti è preso?” e altre brillanti salivazioni post-campanella. Il bello è arrivato poi con la bassa manovalanza dei social: da un lato plotoni di suoi fan con simpatie mussoliniane, imbizzarriti all’idea che Vasco possa schifare dichiaratamente il fascismo, e dall’altra la schiera di quelli che al solo sentirlo nominare hanno l’urgenza di gridare “io negli anni ’80 ascoltavo i Violent Femmes e i Minor Threat, voi che cazzo ne sapete??”. Seppur generalmente viaggino su binari separati, ho visto entrambi gli schieramenti – con l’aggiunta degli immancabili novax, orfani inconsolabili del proprio Zenit – unire le forze sotto un mio tweet, e devo dire che è stata un esperienza mistica per certi versi simile a quella coi fan di Borghi. […]

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  3. Avatar La sirena degli scarsi – Plautocrazia

    […] morronite è in fase dilagante, e di esempi ultimamente ce ne sono a bizzeffe: il libro di Borghi (il senatore con le apnee, non l’attore) vende meno di un tabaccaio in terapia intensiva, ma naturalmente è colpa […]

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