
E quindi ci risiamo. Per l’ennesima volta è ora di scegliere da che parte stare, è ora di esporsi e non fare finta di niente, è ora di dire basta. Non come quella volta di ieri, e nemmeno quella dell’altroieri, e nemmeno quella del giorno prima o del giorno prima ancora. Stavolta è quella vera. Stavolta si fa la storia, lo giuro. Stavolta si sconfigge il fascismo il capitalismo il caporalato l’evasione fiscale la mafia le mezze stagioni l’inquinamento il riscaldamento globale l’annoso problema degli spritz annacquati il patriarcato.
Il giro di ruota di oggi si è fermato su Morgan e i suoi problemi irrisolti con l’adolescenza e la bamba, e sarà stato un enorme sollievo per il ragazzino che si era fatto filmare mentre lanciava un gatto da un ponte e che da un paio di giorni stava ricevendo minacce del tenore della posta in entrata di Ted Bundy. Oggi niente più gatti, anche perché, diciamolo, il problema vero di quella faccenda è una scuola dell’obbligo che produce ragazzi che non distinguono un sasso da un gatto quando si trovano su un cavalcavia. Nemmeno le basi. Comunque, non sono qui per fare da memoria storica, sono qui per dare fastidio: oggi niente gatti, il tema è cambiato, non vorrete sembrare dei boomer che non stanno al passo?
Ieri tutti animalisti e oggi tutti femministi o titoli equivalenti, con un cambio d’abito che Brachetti se lo sogna. D’altra parte legati alla garrota ci si sta per poco tempo e poi serve carne fresca, altrimenti il pubblico se ne va. Funzionava così secoli fa, figuriamoci in questo tempo idiota in cui la valuta corrente è il presentismo esasperato e ricordarsi il menu del ristorante della settimana scorsa è considerata nostalgia. Oggi, comunque, avete scoperto che quell’impeccabile lord inglese di Marco Castoldi in arte Sgarbi Morgan è una persona di dubbia moralità. Roba da non credere.
Insomma, la notizia è che Morgan ha tormentato una sua ex, ne ha diffuso foto e video intimi, ha fatto seguire lei e il suo nuovo fidanzato e altre pregevoli intuizioni che verrebbero in mente solo a chi non ha superato la fase delle seghe di nascosto e delle frasi di Jim Morrison sulla Smemo. Le azioni del Castoldi gli hanno fruttato una denuncia per stalking 4 anni fa e un procedimento giudiziario ancora in corso. Procedimento già noto, già riportato dai giornali a suo tempo, e destinato inesorabilmente a finire con una condanna, dato che le prove sono qualcosa più che schiaccianti e che Morgan ha la stessa furbizia giudiziaria di Pietro Pacciani. Ci tengo a specificare lo stato delle cose adesso, visto che tra un quarto d’ora passerà il messaggio fesso che la condanna di Morgan non sarebbe mai arrivata senza l’intervento di Selvaggia Lucarelli, del popolo della rete – qualsiasi cosa esso sia – e soprattutto del prode Calcutta.
Già, Calcutta. Il grande e irreprensibile Calcutta. Calcutta che ha annunciato di voler tagliare i ponti con la Warner Music, colpevole di essere a conoscenza di tutto ma dare comunque lavoro a Morgan. Calcutta che ha raccontato tutto su Instagram, e che lo ha fatto in qualità di nuovo fidanzato della vittima, giacché siamo una nazione fondata su Striscia la Notizia e i reati si trattano così: te ne sbatti finché non capita a te, poi telefoni a Jimmy Ghione per dirlo a tutti e sfruttare una posizione dominante. Calcutta che in questo momento ha 3 singoli in top 50 mentre Morgan non scala una classifica dai lontani albori del ’97. A valore di mercato invertito, ad esempio se Calcutta si fosse fidanzato con Gerard Piquè, avreste visto la Warner correre ai ripari col coso, come si chiama… Ecco, quello. E invece.
Invece la Warner ha stracciato i contratti, e così ha fatto la Rai – la versione ufficiale della Rai è “Quali contratti? Quei fogli nel tritadocumenti sono vecchie bollette del gas” – e i festival culturali che l’avevano invitato, e così via, passando per musicisti e cantanti, gente dello spettacolo e elettricisti di Discovery, fino alle feste della birra, i compleanni col clown e le sagre della marmellata di gamberi umbri IGP. Tutti a prendere pubbliche distanze dall’appestato del momento in fretta e furia, prima che una ragazzina di 12 anni si indigni con loro su TikTok facendo esplodere le rate dei mutui a tasso variabile con cui hanno comprato il loro sottoscala arredato dagli sponsor, e in un effetto a cascata distruggere l’intera economia mondiale lasciando in vita soltanto kebabbari notturni e bar dei cinesi. È il capitalismo, baby, ma di Marx e Engels ne parliamo un’altra volta.
Ragioni del comunismo a parte, i social sono ovviamente andati in visibilio all’idea di poter ballare sulla tomba dei contratti di uno che per di più fa le fusa alla Meloni da tempo. È partito il solito trenino dell’indignazione che tra un “Brigitte Bardot Bardot” e l’altro ha emesso la propria sentenza di esilio totale per Morgan, ché siccome è un pezzo di merda è anche scarso nel suo lavoro, e poi a me le sue canzoni non sono mai piaciute nemmeno prima, e anche basta con la storia del genio ribelle, il talento artistico non può giustificare i comportamenti violenti (eppure sembra valere il contrario, ci sarebbe da discuterne, ma non vorrei che a Gramellini partisse un embolo). Insomma, uno così non deve più lavorare perché abbiamo deciso che il diritto al lavoro sul quale abbiamo sventolato il nome di un bracciante schiavizzato non è mica poi così un diritto; no, è un premio per essere fulgidi esempi di moralità, e non si può mica permettere che uno stronzo macchi la reputazione di tutti.
La reputazione, appunto. La reputazione è la criptovaluta di questo tempo cretino: non esiste nella realtà, non è palpabile, se ne guadagna tantissima in poco tempo e basta un passo falso per perderla completamente e per sempre, è suscettibile a qualsiasi variazione e un bel giorno si scopre che quella credibilissima azienda a cui abbiamo affidato tutti i nostri investimenti reputazionali è in realtà lo scantinato di un pensionato asiatico che ha venduto le nostre illusioni moralistiche ai produttori di creme dimagranti per poi scappare con l’indotto e rifugiarsi in un paradiso fiscale coi soldi veri.
Troppo metaforico? Ve la faccio semplice: il “danno reputazionale” che siete convinti di smuovere quando vi indignate su Twitter taggando il discount in cui minacciate di non comprare più la frutta perché un magazziniere ha urlato “frocio” a Malgioglio, in realtà, non esiste. È un concetto che non ha effetti nella vita vera, per quanto alle aziende convenga farvelo credere perché così possono fare gli spot inclusivi e voi andate a comprare le loro ciliegie a 72 euro al kg. Se quel concetto esistesse davvero, invece dei volantini con gli sconti sfogliereste le fedine penali dei dirigenti. Se quel concetto esistesse davvero, dopo averle sfogliate, vivreste solo dei frutti della terra che coltivate. Se quel concetto esistesse davvero, un boicottaggio commerciale su una multinazionale, almeno uno nella storia del mondo, avrebbe dato i suoi frutti. Se quel concetto esistesse davvero, Berlusconi oggi non avrebbe un aeroporto col suo nome.
Senza tirare in ballo la presunzione di innocenza – che ovviamente adesso Morgan può sventolare avendo ragione, grazie alla vostra febbre da rogo delle streghe – il punto è che ancora una volta vi siete convinti di stare dal lato giusto della forca, e quelli che hanno da guadagnarci qualcosa (cioè chiunque tranne voi: giornalisti specializzati in scandali, scrittrici di traumi, opinionisti TV, etichette discografiche, sagre della marmellata, perfino Morgan e i suoi avvocati) non hanno nessun motivo per non lasciarvelo credere, come non hanno nessun reale interesse che le cose cambino finché i bruciori di culo causano fatture.
Ancora una volta avete scelto di confondere l’artista con la persona, correndo a posizionarvi tra quelli che “io non l’ho mai ascoltato”, come se ciò dimostrasse altro dal fatto che parlate di cose che non conoscete. Ancora una volta avete scelto la santa inquisizione. Ancora una volta pensate di risolvere i problemi sequestrando il cellulare al ragazzino cattivo per qualche giorno. Ancora una volta state dicendo, con la vostra garrota pre-sentenza, che la moralità deve influire sulle sue possibilità di lavorare; che è né più né meno il programma dei fascisti riguardo a tutto ciò che considerano immorale, dall’omosessualità al giornalismo d’inchiesta. Poi domandatevi perché vince la Meloni e nulla cambia mai.
Avete sbranato la preda facile come squali affamati e tra poco ne cercherete una nuova. Domani ci sarà un altro Morgan – sempre che questo sparisca e non finisca per dare il nome a una stazione dei pullman – e la storia si ripeterà pari pari, con lo stesso stupore e gli stessi “È arrivato il momento di dire basta” credibili quanto i “prometto di fare il bravo” sulle letterine a Babbo Natale. Oggi ci sono già tanti altri Morgan, che magari abitano con voi, o vi servono da bere chiacchierando del più e del meno, ma i cui nuovi fidanzati delle ex non sono Calcutta, e quando di mestiere pieghi i tubi su 3 turni nessuno teme le tue minacce di boicottaggio; nessuno si interessa alle tue stories lapidarie su Instagram; nessuno si preoccupa del danno d’immagine se chi urla ha un ISEE da spesa al Lidl; nessuno licenzia Morgan perché un impiegato del catasto si è offeso, anche se continuate a illudervene.
Lo so che vi hanno cresciuto a recensioni su TripAdvisor e articoli di giornale che parlano di “bufera social” più spesso di quanto Gasparri dica stronzate, ma niente di tutto questo funziona davvero. La scure dell’indignazione popolare funziona con i piccoli, i disgraziati e gli sfigati. Coi sacrificabili che tengono occupati i vostri pomeriggi in veranda mentre i soldi vanno altrove. Funziona con i Morgan che ancora girano per feste di paese a far concerti gratis. È soltanto una questione di peso economico e di pesce grande che mangia pesce piccolo. Provate a scrivere sul vostro Instagram con 300 follower che non comprerete più dischi prodotti dalla Universal perché Justin Bieber vi ha toccato il culo in metropolitana. Provate pure a farlo scrivere a Calcutta, e vedete cosa se ne fanno delle vostre fregole giustizialiste da 48 ore quando ci sono in ballo i soldi veri. Buttate nel cesso la carta Fidaty e provate a vedere se per questo al signor Esselunga va di traverso la vodka in piscina delle 16:30.
Mentre scrivo, Taylor Swift è a San Siro. Potrebbe salire sul palco travestita da Hitler, sgozzare un cucciolo di foca in mondovisione, ballare sulla sua carcassa schizzando sangue sul pubblico, e nessun produttore sano di mente si sognerebbe di licenziarla per accontentare gli indignati da divano. Piuttosto venderebbero una nuova linea di magliette già macchiate, e buonanotte alla reputazione.
Ora scusate, devo andare all’aeroporto Silvio Berlusconi; accompagno Morgan a prendere un volo per la Thailandia pagato coi soldi della penale della Warner.





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