Gioventù zanichelliana

Lo scandalo dei fascisti che fanno i fascisti e quei poveri dizionari maltrattati

Non volevo parlarne. Giuro, volevo lasciar perdere. Perché tutto ‘sto terrore per il ritorno del fascismo io non ce l’ho, e se qualcuno di quei militanti lo conosceste dal vivo invece che vederli ripresi nei video mentre si trastullano a vicenda con le svastiche stilizzate non ce l’avreste nemmeno voi, ma dei vestiti neri dell’imperatore ne parliamo un’altra volta. Non volevo parlare della famigerata inchiesta di FanPage, non volevo parlare dell’assordante silenzio dopo l’uscita della prima parte e nemmeno della schizofrenia da pulitura del pollaio dopo la seconda. Non volevo parlare dell’approccio all’intera faccenda di questa destra ridicola, che più che la strategia di un partito dai duri principi e dalle mire dominanti pare quella della suora di clausura a cui hanno trovato un vibratore ancora appiccicoso nel comodino. Non ne volevo parlare e infatti non ne parlerò, se non per affrontare un discorso che mi sembra molto più grave e urgente di quattro balilla con le Barrows di seconda mano e il vizio della cocaina: la violenza e gli abusi perpetrati ai danni del vocabolario.

Ma andiamo per gradi. L’hanno reclamata per giorni e alla fine è arrivata la tanto agognata risposta ufficiale di Giorgia Meloni riguardo all’inchiesta sui circoli di Gioventù Nazionale e sulla massiccia presenza – ma va? Giura! – di nostalgie fasciste e naziste, slogan del ventennio, antisemitismo e altre carabattole prese dall’armadietto dei medicinali di Morgan. La reclamavano i giornalisti di FanPage, la reclamavano i programmi TV, la reclamavano le opposizioni tutte, dal PD fino alla colf di Marina Berlusconi, solo non si vedevano reclamare i due liocorni, ma soltanto perché nel mese del pride la gestione degli arcobaleni è un inferno.

Alla fine questa fantomatica risposta, dopo qualche giorno di rodaggio sugli account social dei sottoposti, è arrivata e – sorpresa delle sorprese – è una non-risposta. Un misto di palle buttate in tribuna, accuse senza senso, manie di persecuzione, piagnistei di vario genere e parole grosse gestite da menti piccole; nulla che chiunque di noi non abbia tentato con gli occhi lucidi e il moccolo al naso per evitare un’interrogazione, e nulla a cui comunque mia nonna con la terza elementare avrebbe creduto più che ai miei plausibilissimi mal di pancia del lunedì mattina.

Nella realtà illusoria che l’aver frequentato la scuola dell’obbligo nel ‘900 mi costringe a considerare nonostante tutto, l’infantilismo della risposta sarebbe l’unico argomento sulla bocca di opposizioni, detrattori del governo e in generale di ogni essere umano senza rapporti frequenti con le droghe sintetiche. Un’esempio così palese di arrampicata sugli specchi è l’equivalente retorico di un rigore a porta vuota con gli avversari legati ai pali e l’arbitro con quattro Rolex marchiati Moggi al polso. Una roba talmente inequivocabile che per un attimo ho davvero sperato nell’unità della sinistra. E invece. Invece un motivo per cui al governo ci stanno Meloni e il suo circolo di taglio, cucito e vagoni piombati esiste, ed è più palese dell’omosessualità repressa di Vannacci: mancano oppositori decenti.

Gli oppositori decenti – lo dico per chi è nato dopo i programmi della De Filippi – sono quelli di cui vi piace condividere i filmati in bianco e nero, quelli che dicono quel “noi coi fascisti abbiamo smesso di parlare il 25 aprile del ’45” che usate puntualmente come atteggiamento da curva calcistica invece che come divario intellettuale e indisponibilità a scadere nel trivio. Gli oppositori decenti sono quelli che, di fronte alle scuse del seienne che vuol restare a casa a guardare i cartoni, mantengono il punto e si comportano da adulti. Sono quelli, soprattutto, abbastanza a contatto con la realtà da sapere che dalle parti di casa Storace non si ripudiano le prassi nostalgiche ed eversive per moltissime ragioni, ma di certo non per la mancanza di prove.

L’inchiesta per la quale avete giurato di essere rimasti sconvolti non ha svelato nulla che non si sapesse già abbondantemente, e laddove i comici (Luttazzi a parte) sono ormai stanchi di ripetere battute sui busti del duce e le artrosi alle braccia destre, gli oppositori scarsi sentenziano “Adesso Meloni non può più nascondersi”, come se di colpo una leader di partito che da 20 anni prende voti dalla curva della Lazio venga folgorata sulla via di Damasco e giuri fedeltà ad ogni virgola della costituzione. Come se fino a ieri nei ritrovi di Casapound si guardassero i film di Kieslowski. Come se il sacro fuoco della nobile istituzione repubblicana nata dalla resistenza dovesse entrare magicamente nel letto della Meloni lasciandola incinta della più pura tra le democrazie.

Insomma, per l’ennesima volta la sinistra (sì, lo so, consideratela un’iperbole) ha avuto la palla sul dischetto del rigore e l’ha miseramente sparata in orbita. Per l’ennesima volta, invece di ribadire il divario intellettuale e l’indisponibilità a cedere ai bisticci, si è cercato il clamore da reality e la viralità. Per l’ennesima volta ci si è buttati come trote salmonate sulla lenza di Giorgia “Sampei” Meloni, che da brava diplomata all’alberghiero ha buttato in superficie un po’ di mangime del discount e ha diligentemente atteso che quelli del classico intorbidissero le acque litigando sulle declinazioni.

E sì, certo, ha chiamato “metodo da regime” il lavoro giornalistico in incognito cercando di rivoltare la frittata, ha tirato in ballo il povero Mattarella per legittimare le sue accuse, non ha preso le distanze da chi ha diffuso le generalità della giornalista infiltrata, ha usato una retorica puerile, ha glissato sulla bassa manovalanza dei Donzelli e dei Bocchino, che vanno nei programmi TV a parlare di “infami che tradiscono gli amici” come dei Riina qualsiasi, ma il punto è un altro. Il punto è che tutte queste minchiate da mal di pancia del lunedì funzionano, quando chi dovrebbe inchiodarti alla tua ridicola ricerca di scuse è più interessato a filmarsi col telefono mentre dice cose giuste giustissime che prendono tanti cuoricini sui social. Il punto, ancora una volta, è che i governi pessimi sono fatti soprattutto di opposizioni scarse.

La questione grave qui – quella che preannunciavo sette capoversi e mille parole fa – non è il club della croce celtica che fa le sue riunioni in birreria. La questione è che correre su Twitter a dichiararsi sconvolti al limite dell’indicibile da quella roba lì, quando da anni si usa la parola “fascismo” con la frequenza delle bestemmie in Friuli, è un problema di vocabolario minimo prima ancora che di lucidità politica. Quella roba lì, nella gestazione del fascismo con la F maiuscola, è a malapena un feto al quarto mese, e a forza di tirare in ballo i fratelli Cervi per quattro sfigati mai usciti dalla pubertà che scrivono “DUX” su una porta con le bombolette o si mandano i fotomontaggi di Anna Frank su WhatsApp, a forza di urlare al lupo per l’ombra di un chihuahua, a forza di maltrattare il dizionario, si finisce fuori scala e non si hanno più le parole per descriverlo. E che si fa nei prossimi 5 mesi di gestazione? Si parla in Klingon? Si fanno i disegni? Si mima l’antifascismo?

Sia chiaro: la capacità di linguaggio di chi sta sui social mi interessa quanto quella di Donnarumma. Ciò che mi interessa sono quelle centinaia di pagine di vocabolario che nessuno sfoglia più, perché le vie di mezzo e le scale di valori sono morte e sepolte da tempo sotto quintali di emoji e superlativi assoluti, usati tanto per descrivere l’assolo di Stairway to heaven quanto per quello di flauto del vostro nipote focomelico di 5 anni al saggio dell’asilo. Guardatele, le parole pesanti che usiamo e che facciamo usare senza motivo ai politici in cambio di un consenso spicciolo. Guardatele oggi, queste parole, sofferenti mentre le usate con lo stesso metro insensato per la nazionale eliminata dalla Svizzera.

Guardate le lacrime che versano secoli di letteratura, mentre usiamo una sola parola per descrivere un’intera scala di gravità. Guardatela, la nostra lingua romanza trattata come quella lingua da bifolchi senza radici che è l’inglese. Guardate, soprattutto, quanto piegare le parole al proprio interesse temporaneo è – quello sì – un metodo da regime, una prassi fascista molto più di quattro pagliacci che cantano filastrocche sceme. Guardate quanto l’encefalogramma della sinistra si appiattisce con l’appiattimento del linguaggio. Ce lo vedete Occhetto che lancia gli hashtag? Ve lo immaginate Gobetti che si fa spaventare da Flaminia Pace? O Bobbio che si abbassa a replicare a qualsiasi frase uscita dalla bocca di Donzelli? Ve lo immaginate Guccini che riscrive l’avvelenata intitolandola “Il blast definitivo”?

Rilassatevi. Il fascismo delle squadracce in Italia non ritornerà, perché per fortuna stiamo meglio di come stavano i nostri nonni e bisnonni che a quella roba ci hanno creduto perché avevano faccende più importanti da affrontare che la giusta proporzione del gin tonic. Ognuno di quei craniolesi che sentite delirare nell’inchiesta di FanPage si tirerebbe indietro al minimo accenno del fascismo vero, esattamente come si stanno tirando indietro platealmente per il solo fatto che le loro filastrocche sono state filmate e trasmesse in mondovisione. Ciò non toglie che coltivino idee agghiaccianti più scollate dalla realtà di Red Ronnie, ma non è il fascismo dei balilla viziati l’urgenza di questo paese. L’urgenza è il restringimento progressivo del vocabolario.

Se volete sconfiggere la Meloni – lo dico ai tesserati del PD che sono arrivati a leggere fino qui – non dovete costringerla a dire cose che comunque direbbe senza mai crederci, e che volete sentire solo per masturbarvi con la costituzione; dovete aprire quei cazzo di dizionari e riprendere contatto con l’uso della parola. Dovete rimarcare la linea che distingue chi ha gli strumenti per inquadrare la realtà da chi sa solo agitare il manganello. Dovete piantarla di sbandierare i santini di Gramsci e Pertini come se fosse diverso da quegli altri che sventolano Almirante. Dovete cambiare parole e smetterla di piegare i concetti a forza per farli stare in una card di Instagram. Dovete chiudere i social e fregarvene di quello che succede lì sopra.

Dovete riacquistare l’uso della retorica per non cadere più in quella facile e puerile con cui la Meloni ha condannato ad alta voce l’antisemitismo per distrarre da tutto il resto, come un Netanyahu qualsiasi. Dovete rimpinguare il vostro vocabolario perché le parole rimangano dritte e sia chiaro a tutti chi sono quelli che cercano di piegarle con la forza. Dovete saper chiamare le cose con il loro nome anche quando non beccate i like, anche quando non finite in trend topic, anche quando un mangiatore di salamelle con la faccia pitturata di verde e l’elmo vichingo vi chiamerà radical chic o vostro figlio vi dirà che siete dei boomer.

Dovete disdire l’abbonamento alla spunta blu di Twitter e con quei soldi comprarvi uno Zanichelli completo di sinonimi e contrari, cosicché magari alla voce “fascismo” vi si possa considerare davvero nei contrari.


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