Tiro al Colombo

I guizzi favolistici del ministro e il sollievo di aver schivato l’interrogazione

Cominciamo con il dire che fa molto ridere, è innegabile. Ogni volta che un membro di questo circo governo apre bocca in qualsivoglia evento pubblico possiamo stare certi che qualcosa di esilarante accadrà, soprattutto quando il membro in questione è il paffuto ministro della cultura. Il caro Sangiuliano se la batte generalmente ad armi pari con Lollobrigida in quanto a dichiarazioni mirabolanti e svarioni concettuali, ma – come ogni fuoriclasse che si rispetti – è nel guizzo improvviso attuato con naturalezza che si percepisce il talento cristallino, l’asticella irraggiungibile, la mano de Dios, il genio nel senso monicelliano del termine.

D’altra parte Lollo è svantaggiato, in questo confronto a due, dal suo stesso ministero: da un ministro dell’agricoltura non ci si aspetta certo una profonda preparazione accademica, e quindi è ovvio che il raggio d’azione delle sue dichiarazioni si riduca a ortaggi, carni lavorate e beni di prima necessità (anche se, va detto, le divagazioni del cognato d’Italia fuori dal proprio territorio serbano sempre delle sorprese). Ben diverso è poter basare il proprio repertorio comico curriculum istituzionale su uno dei più grandi bacini di storia, arte e cultura del mondo. Non è certo da questi particolari che si giudica un giocatore, ma il ministero della cultura è per Sangiuliano quello che Berlino è stato per David Bowie: il posto giusto per dare libero sfogo a una creatività vulcanica.

Insomma, Gennarino sempre in piedi ne ha sparata un’altra delle sue. Forse sentiva il fiato sul collo del suo omologo campestre che ha pensato bene di commentare la tragedia disumana di un bracciante e del suo schiavista con delle frasi prese dai Baci Perugina e dal repertorio drammatico di Alvaro Vitali, o forse ha soltanto seguito il suo infallibile fiuto del gol, ravvivando una grigia domenica agli abitanti dei social e risollevando per altre 48 ore le sorti dell’informazione, che può così deliziarci con decine di articoli e infinite classifiche dei migliori meme trasmesse a home page unificate.

A questo punto dovrei dire che non sto a raccontare la faccenda perché ne avrete sicuramente letto tutti, ma stavolta è bene fare un preciso ricapitolo, e capirete poi perché. Sangiuliano se ne stava sereno e pacioso su un palco di Taormina a discutere di identità italiana – qualsiasi cosa ciò significhi nella sua testa – in occasione di un evento di cui è ininfluente ricordare il titolo. Fila tutto liscio finché il Nostro non decide di lanciarsi nel racconto dell’impresa di Cristoforo Colombo e butta lì con fare accademico un “voi sapete che…” al quale, nel paese dei Vanzina, non può che seguire una plateale figura di palta. Gennarino nostro si lascia andare in quell’aneddotica spicciola che tanta fortuna gli ha portato e dice, con il tono di quello che sta per dire che l’acqua è bagnata, “Colombo voleva raggiungere le Indie sulla base delle teorie di Galileo Galilei”.

Galileo però è vissuto nel secolo successivo – o forse è quello che vogliono farci credere i poteri forti, dovrei chiedere a Red Ronnie – e per quanto lo si consideri un precursore vien difficile pensare che sviluppasse teorie ancor prima di essere nato. Da qui la gaffe, gli sfottò, le battute, i meme e tutto il resto, compresi i pipponi seriosi di quelli a cui i traumi del ginnasio frequentato quando la Cecoslovacchia era ancora unita non sono mai andati giù, e così li sfogano producendo bile o chiedendo le dimissioni di chiunque per una figuraccia rimediata a favore di telefoni con telecamera, con la prosopopea di quelli che rivendicano Piazzale Loreto quando faticano ad aprire il tubo delle Pringles.

E fa ridere, l’ho già detto, fa parecchio ridere. Qualcuno dei seriosi di cui sopra vi dirà che non c’è proprio nulla da ridere, che è triste sapere le istituzioni in mano a tali ignoranti, che è preoccupante, che ne va del futuro dei nostri figli e tutte le altre questioni irrisolte del ginnasio, ma la realtà è che sì, è deprimente, ma fa comunque molto ridere. Fa ridere in quel modo genuino e scanzonato in cui fanno ridere gli scivoloni sulla buccia di banana, le gag di Benny Hill, i filmati di Paperissima o l’esistenza di Gasparri. Fa ridere perché non tocca a noi, e mai come in questo caso è un sollievo che lo scivolone da interrogazione scolastica tocchi ad altri.

Di tutti quelli che stanno giustamente sfottendo il ministro, statisticamente, solo una minima parte si sarebbe accorta della gaffe se non ci fosse stato qualcuno a sottolinearla con quel “Ma Galileo è nato 70 anni dopo” che è stato indefessamente copincollato nei tweet sarcastici, con la sicumera con cui a 15 anni si scrive sulla Smemo “Jim Morrison” vicino a una citazione che poi magari si rivela essere di Priebke. Rispetto a cosa siano calcolati quei “70 anni dopo” è la domanda che se siete stronzi potete fare a uno qualsiasi degli indignados, se volete vederlo annaspare per un minuto o soltanto far aumentare le statistiche di accesso a Wikipedia. La realtà, ahimè, è che nell’interrogazione a sorpresa avremmo fatto quasi tutti la figura del Sangiuliano (espressione che a questo punto dovrebbe aver maturato i crediti per diventare la “Doing a Bradbury” degli anni ’20).

Senza la didascalia a indicarlo, l’imperdonabile errore per cui ora si sprecano pagine virtuali, si sbertuccia il tapino e si invocano lapidarie dimissioni sarebbe passato via liscio come l’ininfluente dettaglio che, a tutti gli effetti, è. Se ne volete una prova e non siete abbastanza sinceri da ammettere a voi stessi che non ve ne saresti accorti, riguardate il video. Guardatelo per intero e fate caso al tono con cui Sangiuliano dice la sua cazzata, che è il tono della subordinata inutile, del riempitivo, dell’aggiunta in bella per raggiungere il minimo di pagine nel tema di terza media. E poi osservate la reazione del pubblico e degli altri partecipanti alla manifestazione: nessuna.

È forse perché tutti, dagli organizzatori al pubblico, dagli ospiti agli elettricisti sono così vergognosamente ignoranti? È forse perché sull’ospitata del ministro vigeva una violenta censura attutata da cecchini appostati per abbattere chiunque osasse irriderlo? È forse perché non eravamo al corrente di un nuovo decreto con cui sono stati riscritti tutti i sussidiari delle elementari? No. Semplicemente quella gaffe che fa tanto ridere è un dettaglio del tutto inutile su cui nessuno, dal vivo, si soffermerebbe mai. Nemmeno io che sto scrivendo ‘sto pezzo, nemmeno voi che adesso storcete il naso pensando che no, ve ne sareste di certo accorti e sareste saliti sul palco armati della bibliografia completa di Barbero per sbugiardare pubblicamente il vergognoso ministro.

Nella vita reale quella gaffe non viene nemmeno percepita, e meno male. Funziona sui social, funziona molto, come il nazismo grammaticale e gli animali buffi, Perché i social sono il Canale 5 dell’internet, dove barzellette alla Pippo Franco diventano trovate geniali da morir dal ridere, dove ai video coi gatti che la fanno da padrone manca soltanto la voce fuori campo di Gerry Scotti, dove il nuovo Benny Hill si chiama Khaby Lame (questa accusatela con calma, prendetevi il tempo che vi serve). I social sono un grande tendone da circo in cui da anni si confondono l’intrattenimento con le questioni serie, i passatempi con le battaglie ideologiche e i doveri verso la comunità con le pretese della community, salvo poi lamentarsi se a fare i ministri ci finiscono dei saltimbanchi con deliri di onnipotenza e scarsa cognizione aneddotica.

Diciamoci la verità: Sangiuliano è un bersaglio facilissimo, un pacioso agglomerato di protervia, illusione della conoscenza e manie di persecuzione. Ci ricorda gli antichi fasti del Berlusconi prima del rincoglionimento e della morte (avvenuti non necessariamente in quest’ordine, ma questa è solo una mia teoria) anche se il nano di Arcore aveva tutt’altro stile. Sfottere il caro Gennaro è divertente e sacrosanto – giacché al ludibrio ci si offre lui ogni volta che può, e chi siamo noi per impedirglielo? – ma è anche di una facilità disarmante, un esercizio di stile per eseguire il quale è sufficiente aver visto mezza puntata di SuperQuark, o riuscire a mangiare una ciotola di latte e cereali senza rischiare il soffocamento.

È un tiro al piccione – o in questo caso al Colombo – che forse dovremmo esercitare con una diversa cautela. Non quella di chi prende tutto sul serio, a meno che non abbiate faccende irrisolte col ginnasio, ma quella consapevole che stavolta il merdone è toccato al ministro, ma l’interrogazione a sorpresa è sempre dietro l’angolo, e chi minchia la sa la capitale della Birmania?


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