Qualcuno era ignavo

L’attivismo water-friendly, il civismo monosillabico e la sacrosanta indifferenza

Ad un certo punto della storia, in un momento non ben definito tra l’invenzione del cavallo e la lavatrice che ha divorato gli ultimi calzini non spaiati che avevo in casa, l’umanità ha smesso di ignorare quei cari e volenterosi ragazzi che si piazzavano di fronte agli ospedali o alle scuole con la cartellina per raccogliere firme o donazioni per un collettivo, distribuivano il nuovissimo numero di Lotta Comunista in cui si svelavano le ragioni della crisi del ’29 con soli 6 decenni di ritardo, o facevano volantinaggio per una manifestazione in sostegno a una minoranza di nani trans adoratori di Cthulhu che subivano soprusi a Cochabamba.

Quei disgraziati volontari erano l’equivalente umano delle città di cui tutti dicono “bella, ma non ci vivrei”: passavi loro di fianco e un po’ li ammiravi per la loro tenacia e il loro impegno per la causa, qualsiasi essa fosse, anche la più cretina. Era l’ammirazione di un attimo, però; giusto il tempo di accorgerti che con quell’accenno di sorriso confidenziale stavano puntando proprio te, costringendoti ad accelerazioni e movimenti carpiati per non dover arrivare al sempreverde “Scusa, sono di fretta, non ho tempo” chinando la testa a uovo come neanche Ghedina dopo il salto finale della Streif (sì, sono vecchio e uso riferimenti da vecchio).

Ad un certo punto, dicevo, abbiamo smesso di ignorare quei cari ragazzi attivisti e appassionati. Non fisicamente, figuriamoci, e non certo per sostenere le loro battaglie, giuste o sbagliate che fossero. L’abbiamo fatto virtualmente e per l’unica ragione per cui facciamo tutto ciò che facciamo pubblicamente su internet: soddisfare un ego ingiustificato e soffocare i sensi di colpa. Tutto ciò è successo da quando il mondo – o quel che decidiamo di vedere del mondo – sta tutto in tasca e ci viene propinato in pillole a caratteri limitati, slogan buoni per lo stadio, frasi minime su sfondi glitterati e sottotitoli per permetterci di guardare i video col muto senza essere sgamati dal capoufficio. Prima che mi diate del vecchio bilioso, no, non sono qui per borbottare che si stava meglio quando si stava peggio, che la tecnologia è il male, che è colpa della lobby ricchiona e tutti gli altri pensieri profondissimi che può partorire un generale della folgore; sono qui per dare sostegno alla categoria più bistrattata, insultata e discriminata dell’era della banda larga: gli ignavi.

Ignavi, accidiosi, indifferenti, infingardi, pigri, neghittosi. Chiamateli come vi pare, ma sono loro i più additati in ogni situazione e di fronte a qualsiasi notizia, che si tratti di una guerra in medio oriente, di una parolaccia detta da un presidente di regione o della sensibilità colpita di uno scugnizzo vestito da rapper. Non esiste colpa peggiore dell’ignavia, in questo secolo cretino in cui il volantinaggio pedonale di Lotta Comunista è stato sostituito dalle confortevoli petizioni su Change.org sottoscrivibili in 3 secondi dalla tazza del cesso. Non esiste colpa peggiore dell’indifferenza per una società che ha inghiottito Gramsci per evacuare Travaglio. Non esiste colpa peggiore del non stare all’interno di un’etichetta in un mondo che insiste a spiegarti secondo quali precisissime regole e limitazioni bisogna “essere sé stessi” e “ignorare il giudizio degli altri”.

In un episodio di qualche settimana fa del suo podcast, Luca Bizzarri parlava di come nella stucchevole diatriba tra “fascisti” e “antifascisti” non è più concesso essere semplicemente “non fascisti”; che dovrebbe essere la cosa principale, quella che ti distingue sì dai criminali col manganello, ma senza obbligarti a scarpinare per le montagne a fare la resistenza col coltello tra i denti se lo spirito del martire proprio non ce l’hai. Purtroppo, come spesso succede, i comici talentuosi hanno ragione da vendere e, al netto dell’umorismo, se le masse infoiate di Twitter chiedono a Mara Venier di essere Robespierre forse il problema non è “La zia Mara”.

In questo delirante contesto a dimensione di hooligans, non schierarsi è diventato un crimine peggiore dell’olocausto o degli spaghetti spezzati, e non essere “anti” ti trasforma immediatamente in “pro”, eliminando ogni sfumatura, bollando la critica come connivenza col nemico, la ricerca di complessità come spalleggiamento dei cattivi e l’onestà intellettuale con il qualcos-ismo interiorizzato. Oggi che salviamo il mondo con un paio di hashtag senza far tardi all’aperitivo, dire “Scusa, non ho tempo” è la nuova eresia da far passare per la garrota dell’inquisizione.

D’altra parte, dai, come puoi non aver tempo per qualcosa che si fa in 3 secondi? Che ci vuole? Apri il link, ti registri con lo SPID e puoi tornare al burraco in tutta serenità. È solo una firma che a te non costa nulla, perché insisti nel volerci pensare in maniera complessa? Lo sai che anche Hitler si rifiutava di firmare? Cosa sei, un fascio? Sei un fifone, McFly? Se non firmi sei uno di loro. Se ci pensi troppo sei uno di loro. Se ti vengono dei dubbi sei uno di loro. Se non metti la bandierina sei uno di loro. Se non ti esprimi sei uno di loro. Loro chi? Non importa. Loro. E loro sono i cattivi, sempre. E fanno pure la carbonara coi wurstel e i mezzi spaghetti. Vergognati.

Certo, si potrebbe obiettare che firmare cento petizioni al mese è come non firmarne nessuna; si potrebbe dire che intasare il dibattito (Ahahahahahahah! Scusate) con migliaia di tematiche tutte importantissime, e prioritarissime, e giustissimissime, e un sacco di altri superlativi assoluti abusati più dei neologismi inglesi, non trasforma le questioni veniali in questioni importanti ma fa l’esatto contrario; si potrebbe addirittura sostenere che più facile è sottoscrivere una cosa e meno valore ha quella sottoscrizione. Si potrebbe, ma chi vuol più incorrere nell’eventualità di perdere follower, di non ricevere più quei cuoricini al sapore di dopamina, o addirittura – Dio non voglia – sentirsi dare del fascista/reazionario/schiavo del sistema/amico delle guardie?

In fondo se l’attivismo è così water-friendly (e non parlo dell’acqua) perché andare oltre? Perché formulare un pensiero, osare un ragionamento o mettere sul piatto argomentazioni proprie e cercare un confronto, con il rischio di non piacere alla propria bolla? Perché articolare una riflessione quando perfino i giornali sono costretti a indicare il tempo di lettura degli articoli, e quelli oltre i 3 minuti sono pieni di refusi perché non li leggono neppure i correttori di bozze? Perché complicarsi la vita? Metti una firma qui. Partecipa al cambiamento. Rilancia l’hashtag. Non fare l’ignavo, non lo sai cosa diceva Travaglio Gramsci? Per essere dalla parte giusta basta un click, un tweet, un post, un like, un tag. Un monosillabo.

Ecco, io i monosillabi li lascio volentieri a chi distribuisce patenti di fascio a chiunque osi non essere né “anti” né “pro”. Tenetevi i monosillabi e l’illusione che “attivista digitale” sia un’espressione sensata. Tenetevi l’idea che fotografarsi con le scritte sulla mano sia la presa della Bastiglia in versione smartworking. Tenetevi le petizioni online e sentitevi dei sanculotti ogni volta che fate bannare un tizio da un social con 2 miliardi di iscritti. Tenetevi lavatrici, macchine, lettori cd e apriscatole elettrici – Mark, non adesso, cazzo! Esci dalla mia testa! – e tenetevi anche la paura di restare fuori dall’algoritmo dei giusti. Io voglio guardare i giusti e sentirmi sbagliato.

Voglio sapere che c’è ancora chi si sveglia alle 6 di mattina, esce di casa, monta un banchetto, prepara i volantini, sopporta i rifiuti dei passanti per ore, studia l’argomento nell’eventualità che qualcuno sia interessato, e forse un giorno avrà un laurea in filosofia con cui rivoltare gli hamburger. Voglio sapere che ci sono quei cari ragazzi per poterli schivare, per dir loro “scusate, vado di fretta, non ho tempo”. Voglio non avere tempo, che significa sapere che ci vuole tempo. Voglio essere il disimpegnato che riconosce l’impegno e lo invidia. Voglio abbassare la testa e sentirmi in colpa. Voglio che la mia condizione di ignavo sia quel sacrosanto diritto a lasciare le opinioni a coloro che si fanno il culo per crearsele. Voglio una linea netta tra chi si impegna e chi no, una linea ben visibile che mi faccia sentire uno stronzo e non una linea sfumata che mi faccia fare bella figura al bar.

Posate i forconi e lasciatemi rivendicare l’ignavia e i suoi onesti difetti, perché – con buona pace di Dante – a volte l’ignavia è anch’essa una scelta, e non tutti gli ignavi sono fasci. Qualcuno è ignavo perché “la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente”.


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