
Devo ammettere una cosa: a me Sangiuliano sta simpatico. Sarà per il viso pacioso e gli occhialini tondi; sarà perché la vista di qualsiasi persona grassa mi dà quell’atavico senso di serenità che pervade da sempre le nonne preoccupate dei nipoti che non mangiano; sarà che in un governo di sciacalli incattiviti mi ricorda la iena tonta del Re Leone; sarà per queste o per altre ragioni, ma ogni volta che si parla del ministro della cultura non riesco a non sorridere, anche quando ci sarebbe (forse) da piangere. Tutto questo per dire che anche oggi la situazione, al solito, è grave ma non è seria. E d’altra parte come potrebbe?
Come potrebbe essere seria la notizia di Sangiuliano contrariato e bofonchiante per uno sketch televisivo? Come potrebbe essere seria una situazione in cui – con tutto il rispetto per l’enorme talento di Virginia Raffaele – una parodia innocua in prima serata causa sproloqui sulla censura fascista e filippiche sul sacro diritto alla satira da Aristofane a Martufello? È davvero questo il livello di umorismo per cui nel 2024 si deve alzare lo scudo della satira contro i censori? Ma soprattutto: è davvero per la satira che il pacioso ministro si è indispettito tanto da alzare il telefono della Chicco (sì, me lo immagino con in mano il telefono con le rotelle, e da ora grazie all’imprinting lo farete anche voi) e chiamare il responsabile di struttura Rai per chiedergli di intervenire contro la lesa maestà di una battuta?
Quando ho letto la notizia ho pensato subito che doveva esserci dell’altro; sapevo che Gennarino nostro non poteva essere un Gasparri qualsiasi che non riesce a ridere nemmeno di fronte a uno come Paolantoni che farebbe sganasciare una vedova al funerale del marito; la chiave doveva per forza trovarsi in qualcosa non soltanto di più intimo, ma di più culturalmente alto. Ci ho pensato e ripensato, mentre la facile ironia pervadeva i social accompagnata dalla pedanteria di quelli che prendono sempre tutto sul serio, e al termine di ore e ore di ricerca eccolo lì: l’uovo di Colombo.
A questo punto vi devo chiedere un enorme sforzo di memoria, di quelli a cui questo tempo esasperato e saturo ci costringe per ricordare cose dell’altroieri: concentratevi e ritornate con la mente all’inizio del 2023. Lo so, è un anno e sembra un’era geologica, ma fate uno sforzo. È il 15 gennaio, Sangiuliano è ministro da meno di tre mesi, e viene intervistato da Pietro Senaldi durante un evento organizzato da Fratelli d’Italia di cui è inutile cercare di ricordare il nome. Si parla di cultura e il Nostro ha appena detto una frase di una potenza enorme, che tutti i giornali ignoreranno palesemente: “Non dobbiamo sostituire l’egemonia culturale della sinistra con un’altra egemonia della destra. Dobbiamo liberare la cultura, che è tale solo se è libera, se è dialettica”.
Lo so, non ci si crede e nessuno se lo ricorda, eppure l’ha detto. Gli occhi increduli che immagino abbiate in questo momento evidentemente doveva averli anche Senaldi, ed è forse per questo che Sangiuliano – sotto sguardi di disapprovazione che forse solo i Ricchi e Poveri sul palco del Vigorelli prima dei Led Zeppelin possono dire di aver subito – cerca di svicolare e se ne esce con l’unica frase di cui poi i giornali e i social si occuperanno nei giorni successivi: “Dante fondatore del pensiero di destra”. All’ipotesi di aver scippato un riferimento culturale ai terribili comunisti egemoni, la platea si placa, Sangiuliano evita il lancio di pomodori e i social ironizzano per il solito quarto d’ora.
Proprio quel goffo parallelo tra i sovranisti neri e il più celebre dei guelfi bianchi è ciò che dobbiamo tenere a mente leggendo della reazione esagerata del ministro di fronte ad un pezzo di varietà. È troppo facile pensare che la serenità di Sangiuliano sia stata turbata da una frase in cui Virginia Raffaele gli dà non molto velatamente dell’ignorante, e dovreste vergognarvi per averlo pensato, bolscevichi che non siete altro. Il vero motivo risiede in un dettaglio più piccolo ma che diventa la principale discriminante: la direttrice d’orchestra imitata dalla Raffaele si chiama Beatrice Venezi. Beatrice, capite? È un affronto che chiunque si rifaccia a Dante non può perdonare.
Ma quale censura? Ma quale diritto di satira in pericolo? Non c’è niente di tutto ciò; c’è soltanto un primordiale riflesso condizionato di una destra che come può ispirarsi a Dante se non si erge a difesa di Beatrice quand’altrui ella offende? Certo, Alighieri ha scritto più di 14 mila versi in terzine di endecasillabi a rima incatenata, mentre il più sveglio di questo governo deve cercare su Google come si scrive il plurale di “ciliegia”, ma non sottilizziamo. Ci sono differenze, i tempi sono cambiati, ma cosa c’è di più dantesco della pretesa trasversale di questo governo del decidere dei destini altrui e delle malebolge a cui molti di loro condannerebbero perfino il Papa? Non è forse intensamente dantesca una destra di cui “volgare” è la definizione più aderente?
Io me lo immagino il nostro amato Gennaro – con l’aplomb e l’autoironia che lo contraddistinguono – mentre osserva la splendida Virginia Raffaele e ride scompostamente alla battuta in cui lo si fa passare per ignorante, ma ad un tratto viene posseduto da un demone ancestrale. Un cavalleresco impulso atavico lo coglie nel vivo imponendogli di difendere l’onorabilità della sua Beatrice colpita dal dileggio dei ghibellini, sguaina la spada, ché i colpevoli vanno puniti, e si lancia alla pugna senza tirarsi indietro, pur non essendo egli Will Smith, ed essendo Virginia Raffaele indiscutibilmente più brava a boxare di Chris Rock.
E voi, sporchi comunisti benpensanti delle ZTL, che vi fate vanto della cultura e insistete in questi giorni a svilire il gesto di Sangiuliano, non vi accorgete di quel lampante riferimento. Voi che tagliate corto dicendo che il governo vuole zittire le voci contrarie, anche se ironiche. Voi, che parlate di patriarcato e soprusi sulle donne, ma per Beatrice non avete pietà. Voi, insulsi ghibellini, non vedete l’ovvio, accecati come siete dall’odio verso cotanto ministro. Non vedete che quella telefonata alla dirigenza Rai, di cui tanto discettate attribuendone volontà repressive e bassi abusi, altro non è che lo sguardo a Virgilio, suo duca, prima dell’unico gesto umano della missione divina di Sangiul… Pardon, Alighieri.
E io: “Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago”





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