
Ci sono forme d’arte che non capisco e probabilmente non capirò mai; una di queste è la fumettistica. Sono stato, e sono ancora oggi, un grande estimatore di Topolino – inteso come giornalino, il personaggio lo trovo particolarmente odioso – ma la fumettistica che non comprendo è quella per cui plotoni di adulti si accalcano a decine di migliaia in una fiera per accaparrarsi una tavola autografata, un numero a edizione limitata di questo o quell’albo a fumetti, travestirsi da personaggi di cartoni giapponesi e altre abitudini normalizzate dall’aggiunta di una piccola quantità di figa alla altrimenti noiosissima trama di Big Bang Theory.
Non ho nulla contro i fumetti, ho tantissimi amici che leggono fumetti, per me i fumettisti devono avere gli stessi diritti di chiunque altro, ma quella roba lì proprio mi sfugge. Sarà che l’unico contesto nel quale sono disposto a infilarmi in una ressa e scambiare sudore con degli sconosciuti sono i concerti, sarà che di Dylan Dog non ho mai apprezzato null’altro che le freddure di Groucho, sarà che mica si può essere appassionati di qualsiasi cosa, sarà che in una vita passata qualcuno mi avrà seviziato usando un numero arrotolato di Tex, ma quel mondo mi è alieno quanto la geografia ferroviaria per Alain Elkann.
Faccio questa premessa prima di tutto per infastidire senza motivo qualche eventuale gruppetto di cosplayer fondamentalisti di passaggio, e poi per dire che di quel microcosmo che è il Lucca Comics & Games so pochissimo e mi interessa ancora meno, e infatti voglio parlare di Zerocalcare.
La faccenda la conoscete tutti: il fumettista romano ha deciso di annullare la sua presenza a Lucca giustificando la cosa con il fatto che tra i patrocinatori dell’evento c’era l’ambasciata di Israele e la cosa lo turbava. Essendo celebrità in un secolo in cui neppure una presidente del consiglio con un compagno imbarazzante può permettersi di affidare le dichiarazioni ad un ufficio stampa, Zerocalcare ha annunciato la cosa con stories e post struggenti sui social in cui racconta del suo disagio, di come la sensibilità verso il popolo palestinese gli abbia imposto una scelta morale sofferta, del dispiacere nel deludere i suoi fan, della rava, la fava e di tutti gli altri profondissimi pensierini che mi fanno temere di ritrovarcelo come valletta a Sanremo a presentare due tavole di incoraggiamento al sé stesso bambino.
Certo, si potrebbe far notare che l’ambasciata si occupa di israeliani in Italia, che in questi giorni è più probabile si trovassero a Lucca con la tutina di Wolverine piuttosto che nei tunnel di Gaza con la mimetica; si potrebbe far notare che se domani Netanyahu facesse il favore all’umanità di levarsi di torno, le ambasciate continuerebbero a fare il proprio lavoro indistintamente; si potrebbe far notare che il patrocinio è stato dato a sostegno dei disegnatori israeliani che hanno realizzato le grafiche di questa edizione. Si potrebbe, ma non sono qui per mettere becco sulle motivazioni date da uno che dei suoi impegni lavorativi ha diritto di fare quel che vuole, soprattutto se ha già incassato la caparra.
A prescindere da Zerocalcare – che mentre scrivo sarà in mutande sul suo divano invece di lavorare in un tendone circondato da nerd sudati, e perciò ha la mia totale approvazione – trovo sempre più ridicole le prese di posizione pubbliche. Le trovo ridicole già quando vengono proclamate da deputati e senatori, figuratevi le risate che mi faccio per la gente che si scortica le mani applaudendo un fumettista che rinuncia a una fiera. Mi fa ridere, in particolar modo, il fatto che continuiamo a dare a questi gesti una connotazione eclatante, quando nella realtà, a forza di inventarsi un gesto eclatante per ogni puttanata, ognuno di questi gran rifiuti papali finisce nel grande minestrone indifferenziato di ciocche mutilate, scritte sulle mani con l’Uniposca, secchiate di ghiaccio in testa e carte Fidaty tagliate con l’enfasi con cui Robespierre tagliava le teste.
Beato è quel popolo che non ha bisogno di eroi, diceva Brecht, e chissà se in un lampo di preveggenza non gli sia balenata nella testa l’immagine di un popolo talmente schiavo dell’eroismo da chiamare eroe pure il pony pizza che ti porta l’ordine al piano invece di abbandonarlo fuori dalla porta sotto l’acquazzone, come peraltro imporrebbe lo stipendio ridicolo per cui lavora. Abbondiamo di eroi di ogni sorta da quando abbiamo deciso che l’eroismo si esaurisca coi gesti simbolici: le donne iraniane senza velo vengono massacrate e gli eroi si tagliano una ciocca di capelli, la Russia invade l’Ucraina e gli eroi rinunciano alla consueta vodka delle 15:30, i ghiacciai si sciolgono e gli eroi buttano vernice su un obelisco, c’è un conflitto in Medioriente e gli eroi rinunciano a un firma copie. Un gesto eroico di tre secondi e poi giornata libera fino all’aperitivo. Pensa quanto rosica Ercole.
Lo so che il catechismo e le pubblicità degli assorbenti vi hanno convinto di poter cambiare il mondo partecipando a una raccolta di firme online, fotografandovi mentre bevete gin tonic al Pride o cambiando marca dei bastoncini di pesce se scoprite che il Capitan Findus vota Forza Nuova, ma i piccoli gesti sono il premio di consolazione dei pigri, e nella realtà valgono quanto i soldi del monopoli al banco del pesce. L’Esselunga sopravvivrà anche con quei due etti invenduti di bresaola in offerta, le doppie punte che avete mozzato a favore di smartphone non leniranno i lividi delle donne iraniane e l’unico risultato delle scritte sulle mani sarà lo sguardo confuso dei figli che sgridate se si pasticciano addosso coi pennarelli. Non guardatemi così, lo sapete voi, lo so io, è così; e prima di darmi del fascista a caso levatevi l’inchiostro dalle mani.
Torniamo per un secondo al fumettista travestito da ribelle: la fiera era già organizzata da tempo, gli accordi presi, il logo già disegnato e le locandine distribuite nell’etere da mesi; insomma, la scritta “Ambasciata di Israele” era in bella vista da parecchio. E allora perché decidere per il boicottaggio all’ultimo momento? Per lo stesso motivo per cui la Meloni ha annunciato urbi et orbi quella stronzata della pietra e dell’acqua, lo stesso motivo per cui la Ferragni si rivolge alle undicenni, lo stesso motivo per cui Selvaggia Lucarelli non lavora in miniera: se la tua fama dipende dalla rete, devi assecondare e accontentare la rete. Indistintamente. Sempre. Per sempre. O perlomeno fino al prossimo scandalo da un quarto d’ora.
L’indignazione di Salsiccione74 – che di mestiere piega i tubi con le mani ma la sera discetta di geopolitica su Twitter – non puoi ignorarla, e nemmeno puoi spiegare a Salsiccione74 che difficilmente l’assedio di Gaza viene finanziato coi proventi di un pigiama party per nerd. Non puoi perché Salsiccione74 lancerà un hashtag che verrà rilanciato da decine di altri insaccati da social, i quali urleranno allo scandalo e resteranno in trepidante attesa che tu, eroe, confermi di essere proprio come loro si aspettano e annunci pubblicamente di boicottare l’evento.
Certo, dopo aver raccontato al bar quanto sono felici di aver schivato l’eventualità di dover rinnegare il proprio idolo e mandare al macero la propria collezione di tavole autografate, sia Salsiccione che tutti i suoi simili comunque parteciperanno all’ignobile evento incriminato al grido di “ho comprato il biglietto 6 mesi fa e io i soldi me li sudo”; d’altra parte si sa, l’onere della coerenza con conseguenze monetarie spetta solo all’eroe.
Non so se e quanto Zerocalcare sia turbato o meno dalle vicende palestinesi, ma il punto è che non importa: se quel patrocinio fosse passato inosservato, lui sarebbe stato felicissimo di evitare l’accollo dei salsiccioni, e ben lungi dal prendere una posizione che sa benissimo essere insensata in partenza. Partecipare o meno a una fiera dopo che un gruppetto di utenti ha messo il broncio non è una presa di posizione politica, né tantomeno un gesto coraggioso o rivoluzionario; è un posizionamento commerciale, uno dei tanti che le bollette del gas impongono di prendere se il mantenimento del tuo fatturato dipende dalle fregole dell’internet.
Nulla di male, per carità, ognuno fa quel che deve per campare e lui ci ha pure guadagnato un weekend sul divano, ma parlando di gesti simbolici in tempi di guerra ho pensato a quando Muhammad Ali ha rifiutato di arruolarsi e di andare combattere in Vietnam: non servì comunque a fermare le bombe, ma prendere quella posizione gli costò una lunga squalifica e una condanna a 5 anni di prigione.
Traslando il gesto “eroico” sulla fiera del fumetto, la domanda sorge spontanea: se il gesto l’ha fatto Zerocalcare, perché è toccato ai suoi fan sorbirsi la presenza di Salvini?






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