Numerologia delle scemenze

Le maglie dei calciatori, i voti in condotta e altre cabalistiche inutilità

Voglio esternarvi un pensiero profondo – si fa per dire – che ho in testa da tempo immemore: la razza umana è attratta dai numeri nello stesso modo in cui è attratta da Dio: non li capisce, non è sicura nemmeno che abbiano un senso, ma ci crede fermamente e li trova talmente rassicuranti da assurgerli a fondamento di ogni cosa, dal progresso della civiltà alle scemenze di cui discutiamo con una prosopopea inspiegabile. Ok, l’ho presa un po’ alta, ma sono giorni in cui questa faccenda dei numeri mi rimbalza in testa più che a Pitagora – forse perché nella sua testa non rimbalza più nulla da 2500 anni, però ora non sottilizziamo.

Sono giorni, dicevo, che noto quanto ai numeri affidiamo il compito di restringere il campo di ciò che osserviamo e illuderci di capire: i numeri danno una dimensione che possiamo percepire, vedere, toccare. Il conto delle vittime di un naufragio o un terremoto ci dà la dimensione della tragedia, il numero di partecipanti a una manifestazione fa sentire più o meno legittimate le idee degli organizzatori, i numeri statistici sulla disoccupazione, l’evasione fiscale, i morti sul lavoro e tutto il resto sono fondamentali non solo nel dibattito, ma proprio nella formazione dei pensieri. Non riusciamo a pensare nell’infinito: come diceva un personaggio di Baricco, abbiamo bisogno di sapere che i tasti del pianoforte sono 88.

Ecco, partiamo dall’88. Perché i numeri li usiamo sì per dare una dimensione alle cose serie, ma soprattutto per giustificare le nostre scemenze. La notizia è che dalla prossima stagione, i calciatori non potranno indossare la maglia numero 88; già il fatto che si vieti un numero farebbe ridere di per sé, se poi ci aggiungiamo che secondo il ministro dell’interno – Dio della comicità fai che questo governo non cada mai, ti prego – il divieto di usare l’88 servirebbe a contrastare l’antisemitismo, siamo ad un livello di schizofrenia tale che il cinema è destinato a fallire a brevissimo.

Il provvedimento, peraltro, riguarda soltanto il calcio; evidentemente, sotto un certo costo dei diritti TV l’antisemitismo smette di essere un problema, ma non è di sport e coerenza che voglio parlare. Voglio parlare di numeri.

Il numero 88, l’avrete letto su uno qualsiasi degli articoli che nel titolo hanno l’espressione “ecco perché”, starebbe ad indicare nella numerologia neonazista le due H di “Heil Hitler” perché la H è l’ottava lettera dell’alfabeto. Ora, che un branco di esaltati con la fissa dell’imbianchino austriaco abbiano la loro cabala è legittimo, ma se basta questo per dar credito istituzionale alle convinzioni della curva della Lazio, allora ho delle proposte: vietiamo di indossare la maglia numero 23 perché è il numero civico di un mio vicino di casa stronzo, vietiamo la 69 perché i doppi sensi a riguardo hanno smesso di far ridere negli anni ’50, e soprattutto vietiamo il 4 per non urtare la sensibilità di quelli che andavano male a scuola.

Ecco, a proposito di scuola e voti c’è un’altra importantissima inutilità numerica di cui si dibatte da giorni come fosse una questione di vita o di morte: il voto in condotta. Non sto a farvi tutta la tiritera, la storia la sapete tutti: i ragazzi che qualche mese fa avevano riempito le prime pagine per un quarto d’ora per aver sparato con una pistola a pallini alla propria insegnante hanno terminato l’anno scolastico con 9 in condotta, e il coraggioso giornalismo italiano mica si fa sfuggire una così ghiotta occasione di suscitare indignazione e click con una notizia di nessun reale interesse.

Fioccano le condanne, le prese di posizione, i discorsi di principio e tutte quelle cose che già ai tempi di Don Raffaè capitavano di fronte a venti notizie e ventuno ingiustizie; fioccano a tal punto che interviene il ministro Valditara ad esprimere il suo disaccordo e la scuola cambia quei 9 in 7 per placare gli animi degli indignati. E tanto basta, perché in fondo di quei ragazzi non frega nulla a nessuno, come a nessuno importa che un sistema scolastico in cui si cambiano voti e giudizi già registrati per far piacere a un ministro o a una platea di sconosciuti sui social sia qualcosa di civilmente aberrante. Il problema era il numero. Solo il numero.

È ironico, peraltro, che i più indignati per i 9 e i più gaudenti quando sono diventati 7 siano quelli che da anni stanno trasformando i metodi di insegnamento nella caricatura montessoriana di un manicomio gestito dai pazienti, chiamando “trauma” un 4, spingendo – ahimè, riuscendoci – per una scuola più interessata a non turbare le emozioni di un alunno che ad incentivarlo a impegnarsi e imparare. Chiedete ad una qualsiasi maestra elementare e vi racconterà di settenni che – guarda un po’ – non capiscono cosa significhi quel papiro di 40 parole con cui vengono sostituiti i traumatici voti numerici.

Mentre scrivo questo pezzo la numerologia continua a farla da padrone, non c’è prima pagina di un giornale in cui non compaiano numeri nel titolo o nel sottotitolo, così come nelle discussioni che questi titoli generano si parli quasi esclusivamente di numeri. L’astratto continua a spaventarci, l’indefinito resta sfocato e a me viene da ridere a pensare a questa umanità che saltella da uno all’altro degli 88 tasti del pianoforte illudendosi di essere padrona della melodia.

Verrebbe da dire che senza numeri siamo persi – questo forse lo diceva già Pitagora – ma ogni volta che vedo due tizi qualunque senza la minima preparazione dibattere animatamente su un voto in condotta, il numero di anni di una condanna, le giornate di squalifica di uno sportivo a caso o l’impatto di una finanziaria, più che percepire un senso sento un unico forte istinto: quello di appuntarmi i numeri su un foglio per giocarli al lotto.

Cabala per cabala, inutilità per inutilità, speriamo almeno che ci scappi un terno.


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