Selezione all’abisso

I buttafuori del Nikita e il dress code delle disgrazie

Correva un anno lontanissimo di un’epoca che a guardarla bene sembra ancora più lontana, avevo vent’anni e facevo quelle cose senza senso che fanno i ventenni, come tirare a lucido la macchina dentro e fuori una volta a settimana, girare per locali il sabato sera e andare a ballare. Sì, lo so che c’è chi non si rassegna all’avanzare del tempo e fa queste cose nonostante un’età in cui almeno una visita al sito dell’INPS per calcolare la data della pensione l’hanno fatta, ma del giovanilismo di quelli che ti devono per forza raccontare che reggono alcol e orari “meglio dei ragazzini di oggi” senza sentirsi ridicoli ne parliamo un’altra volta.

Avevo vent’anni e facevo il ventenne, dicevo, e nonostante il mio generico disprezzo per le discoteche e per quella musica che quando sei un metallaro devi odiare per convenzione, a volte cedevo e mi infilavo in locali che un essere umano formato e pensante eviterebbe anche soltanto per l’odore, ma tant’è, per i vent’anni e per la figa questo e altro. All’epoca dalle mie parti c’era il Nikita, discoteca per ragazzini (lo so, è una ripetizione) e fulgido esempio di locale con tutti i crismi dei posti in cui vengono allevati tutti i Briatore del mondo, compreso il peggiore di tutti i dettami: la selezione all’ingresso.

Forse il mio odio per quelli che danno un’importanza inspiegabile all’aspetto delle persone e in generale ai cazzi degli altri è nato lì, prima ancora che dalla disistima standard prevista dal contratto nazionale dei metalmaniaci. Vedere all’entrata del Nikita degli energumeni che controllavano se eri vestito a modo e decidevano se potevi entrare o no in un posto per cui avevi pagato un biglietto d’ingresso mi causava le stesse reazioni scomposte che causa la realtà a Michela Murgia, ma – come la Murgia – alla fine mi adeguavo covando disprezzo e riducendo il mio impegno antisistema al costante ammorbamento di amici e conoscenti con filippiche infinite sulle questioni di principio e la discriminazione.

Ora che non ho più vent’anni ho risolto il problema alla radice come si fa da adulti, ovvero smettendo di andare in discoteca, ma la selezione all’ingresso continua a infastidirmi anche oggi che i buttafuori del Nikita hanno cambiato datore di lavoro e fanno i moralizzatori sui social dettando il dress code delle disgrazie. Li conoscete, sono quelli che quando c’è un incidente, una notizia di cronaca nera o una tragedia umana di qualche tipo si presentano con la lista dei requisiti per lo status di vittima, per le lacrime da versare o il sentimento da provare in merito, con lo stesso sguardo torvo e lo stesso “cazzi tuoi” sempre in canna per chi non li rispetta di quando mi scrutavano e dicevano “Non mi interessa, o metti una camicia o qui non entri”. Insomma, quelli che da giorni intasano i social dicendo che non c’è da dispiacersi per i miliardari che sono affondati facendo una visita al relitto del Titanic, anzi, c’è da festeggiare, quattro ricconi in meno.

Certo, forse non indossano più quelle ridicole polo nere tutte uguali con la scritta “SECURITY” e il logo con patetici richiami a croci celtiche, fasci littori e altri disegnini da piccoli balilla, non tutti passano il loro tempo libero a prendere nota della circonferenza dei bicipiti in mancanza di altro da misurare, forse hanno persino sviluppato la capacita di esprimersi con forme di dialogo diverse da grugniti e cazzotti, ma non fatevi ingannare: anche se ora, per sentirsi dalla parte della ragione assoluta, invece che alle regole di disciplina e a D’Annunzio si appellano alla lotta di classe, all’anticapitalismo e alla Murgia, anche se al posto dei tatuaggi di Derek Vinyard hanno quelli di Zerocalcare, anche se li trovate in prima linea al Pride, sono sempre loro: i buttafuori del Nikita.

D’altra parte che cos’è il conto in banca di chi muore in un incidente se non l’abito di chi entra in discoteca? Che cos’è il disprezzo per i miliardari che fanno i miliardari se non l’occhiata di disapprovazione alle mie All-Star slacciate da ventenne che fa il ventenne? Che cos’è l’altezzosità nel decretare che se spendi soldi per una visita esclusiva al relitto del Titanic e poi muori te la sei cercata, se non il ghigno insopportabile dell’energumeno che ti dice “le regole sono queste, dovevi pensarci prima” e ridacchia mentre ti avvii verso il parcheggio? Che cos’è, in definitiva, il coro di quelli che ci tengono a farti sapere che sono contenti che dei ricchi siano morti col tono dei sanculotti che festeggiano la presa della Bastiglia, se non il godimento fascista di un’accozzaglia di bestioni che si danno di gomito convinti di aver ristabilito l’ordine e la giustizia lasciando fuori dal locale un tizio che voleva essere vestito comodo per ballare?

No, non sto dicendo che si debba per forza provare dispiacere per quei morti: sappiamo benissimo che non frega una ceppa a nessuno come per i protagonisti di qualunque strage/delitto/tragedia/stupro di cui la gente discetta su Twitter tra una sparata di Feltri e una puntata di Temptation Island; non sto neanche dicendo che non si possa ridere di quattro mona che si inabissano con un trabiccolo da guidare con un joystick e finiscono per guardare il corallo da sotto; non sto dicendo che non ci siano differenze tra un barcone di disperati che non viene soccorso e un sottomarino giocattolo disperso per il quale si smobilita la marina militare di mezzo continente.

Sto soltanto dicendo che ballare in camicia e scarpe eleganti era una merda ieri, è una merda oggi ed è una merda anche in un trabiccolo in fondo all’oceano. E quelle polo attillate con scritto “SECURITY” sono ridicole.


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