Second-screen politics

Netflix, le camicie hawaiane di Tom Selleck e il conservatorismo delle polpette

Premessa numero 1: sono vecchio. Non tanto in senso anagrafico – anche se le mie levate dal letto sono sempre più dolorose e i miei mugugni di disapprovazione sempre più frequenti – ma nell’unico senso che è sempre rimasto immutato nel tempo: sono vecchio secondo quella regola aurea per cui se devi farti spiegare le nuove mode, i nuovi strumenti o le nuove parole sei vecchio.

Premessa numero 2: mentre scrivo queste righe, negli Stati Uniti è in atto uno sciopero generale degli autori televisivi e cinematografici contro le piattaforme di streaming.

Non vi ammorberò con le motivazioni dello sciopero, almeno per oggi, né tantomeno sull’effetto comico-grottesco che le reazioni delle truppe cammellate dei social stanno generando. Voglio invece concentrarmi sulla cosa che più di tutte ha attirato la mia attenzione: tra i vari aspetti criticati dagli autori in sciopero c’è la richiesta sempre più frequente e sempre più pressante di “second-screen content”, che di certo per molti di voi sarà un’espressione di uso comune; io però sono vecchio, e quindi ho fatto ciò che fanno i vecchi di fronte a un modo di dire (si usa ancora “modo di dire”?) moderno: invece di prenderlo per buono ci ho rimuginato e ne ho partorito una nuova fonte di mugugni.

Il concetto è abbastanza ovvio: contenuti che la gente possa guardare su uno “schermo secondario” mentre fa altro; abbastanza invitanti da far premere play ma non abbastanza coinvolgenti o complessi da distrarre da altre attività come i giochini sullo smartphone o la pianificazione di un golpe, comunque molto più importanti e certamente più interessanti della trama banale che si svolge sullo schermo. Niente di nuovo – come il 99% di ciò che questa epoca demente si ostina a chiamare con termini inglesi illudendosi che ciò basti per essere innovativi – ma è l’utilizzo che fa lo strumento, e così mentre riflettevo su tutto ciò mi è tornato in mente un dettaglio di una scena a casa dei miei genitori in una mattina di un giorno qualunque: laddove mia nonna (pensionata di ieri) sintonizzava il suo second-screen sulle telenovela di Rete4 mentre trafficava in cucina, mia madre (pensionata di oggi) lo sintonizza sui talk show politici che ormai ammorbano metà delle TV già dalle 7 della mattina.

L’effetto, è quasi inutile che ve lo dica, è esattamente lo stesso: in quei rari momenti in cui mia madre smette di lavorare l’impasto delle polpette e ascolta quel che dice il politico di turno, non importa quel che è stato detto prima né quel che verrà detto dopo e lei percepirà di non aver perso nulla di importante, la trama continuerà a filare liscia senza interruzioni e nessuna polpetta sarà maltrattata da un colpo di scena.

Ora, il punto non sono (forse) le polpette e nemmeno mia madre: il punto è che in questi programmi si alternano politici e funzionari di ogni schieramento e di ogni livello – dai ministri con portafoglio ai portaborse pagati in nero – senza che la secondarietà dei contenuti che arrivano dallo schermo venga mai meno, e vorrei tanto poter dare la colpa alla politica, al populismo e ai social, ma sono vecchio e disilluso a sufficienza da sapere che la politica – né più né meno come Netflix – si limita a dare alla gente ciò che la gente chiede, e non ci sono autori in sciopero o rivendicazioni gramsciane che tengano, continuerà a farlo.

Certo, c’è chi questi programmi li segue con molta più attenzione (ci sarà sicuramente) ma c’era chi seguiva con attenzione anche Magnum P.I., eppure di 8 stagioni e più di 150 episodi continuiamo a ricordare distintamente soltanto i baffi di Tom Selleck e le camicie hawaiane – comunque due elementi in più rispetto al contenuto delle dichiarazioni di… Chi era l’ospite di Agorà stamattina? Vabbè, quello lì – mentre la trama qual era? Chi erano i buoni? Chi i cattivi? Boh.

Se il posto di Tom Selleck è stato preso da Lollobrigida non è perché le casalinghe si siano di colpo appassionate alla politica, ma perché le parole di Lollobrigida rovinano meno impasti di quanto facessero le battute su Higgins, e dietro quelle nobili frasi sulla pluralità e l’informazione e la politica per tutti con cui abbiamo permesso a tutti i Lollo del mondo di invadere la zona franca delle camicie a fiori si nasconde l’unico vero ostacolo conservatore al progresso, che non è il “prima gli italiani”, ma il “prima le polpette”.


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