
Quando ero piccolo ricordo che il passare del tempo era scandito, più che dal calendario, da quelle perle di saggezza popolare che – non importa quanto fossero fondate – erano legge e non si discutevano: Santa Lucia è la notte più lunga che ci sia, i giorni più freddi dell’anno sono i Giorni della Merla, non bisogna mettere via il giubbino prima dell’ “invernino di San Giuseppe”, e così via per tutto l’anno.
La cosa affascinante è che la stessa cosa si ripete oggi, e non solo perché molti hanno ancora con sé nonni o bisnonni di veneranda età, tenutari indiscussi delle regole del tempo e del mondo, ma anche perché le credenze popolari si adattano, si modificano e sopravvivono a tutto, che si tratti di rivoluzioni culturali, salti d’epoca, innovazioni tecnologiche o ere glaciali. E così, se da una parte alcuni riferimenti vanno a morire – come l’invernino di San Giuseppe, evocato ormai soltanto da mio suocero e pochi altri giocatori di briscola – dall’altra ne nascono di nuovi come il Blue Monday.
Riassumo per il club di briscola di mio suocero e per chi fosse uscito ora dalla capanna di UNABomber: il Blue Monday è il giorno più triste dell’anno, capita il terzo lunedì di gennaio e non importa cosa stia succedendo nella vostra vita – se vi sia appena nato un figlio, abbiate vinto al superenalotto, trovato l’amore della vita o tutte e tre le cose contemporaneamente – vi sentirete tristi, perché il vostro cervello realizzerà inconsciamente che le vacanze di natale sono finite e passeranno mesi prima delle prossime ferie.
E che c’azzecca – direte voi – il Blue Monday di gennaio con oggi, con maggio e, soprattutto, con l’eiaculazione? Partiamo dalla festa dei lavoratori.
Ieri stavo onorando il primo maggio come si confà ad una ricorrenza così importante – dal divano, in mutande, con la TV sintonizzata sul concertone di Roma, lo smartphone sintonizzato su Twitter e una reattività cerebrale da far invidia a Gino Paoli al quinto campari – quando d’un tratto ho provato una sensazione di rilassatezza e benessere che non aveva nulla a che fare col divano, né col piacere nostalgico di non conoscere gran parte dei cantanti presentati da Ambra, né – figuriamoci – da ciò che leggevo scorrendo Twitter; no, quella sensazione è stata frutto di un lampo mentale che mi ha proiettato alla giornata di oggi.
Per chi è di sinistra come me – sì, la sinistra esiste ancora, non cominciate con i discorsi retorici e state sul pezzo – il 2 maggio è l’opposto del Blue Monday: non importa nemmeno se sia lunedì, perché dopo un giorno festivo è come se lo fosse, e non importa quali altre cose succedano nel mondo o nella tua vita; dopo aver passato la giornata a “partecipare” – fisicamente o virtualmente – al carrozzone del primo maggio, una serenità immotivata pervaderà il tuo inconscio per 24 ore.
È quella sensazione post-orgasmo di chi sente di aver fatto la propria parte e di aver raggiunto l’obiettivo prefissato. No, non quello di migliorare la qualità della vita dei lavoratori, dare voce alle battaglie giuste, ottenere contratti nazionali che non si basino su concetti di un secolo fa; l’obiettivo è quello di cui tutte le manifestazioni in corrispondenza di ricorrenze dal sapore politico si pongono realmente da almeno 20 anni, o forse di più: irritare gli avversari e provare quel gusto sadico di vederli friggere pubblicamente.
D’altra parte, conoscete un motivo – che non sia il generare rabbia in qualcuno che vi sta sullo stomaco – per cui schiere di persone dai 40 in su accetterebbero di seguire per nove ore uno spettacolo di cui conoscono a malapena un quarto degli artisti e di almeno la metà dei restanti fanno fatica tanto a pronunciare il nome quanto a capire i testi sbiascicati nei microfoni con l’autotune? Siamo seri.
Eh, però il concertone è organizzato dai sindacati, e ci sono gli intermezzi seri in cui si parla delle questioni importanti – quest’anno il meno banale è stato il discorso di Rovelli riassumibile in “la guerra è brutta”, per dire il livello e la continenza – e poi gli artisti fanno una scelta accurata di pezzi che abbiano a che fare con i temi del lavoro, mica vanno lì a cantare le ultime hit e i singoli di lancio come ad un Battiti Live qualsiasi – l’ultimo che si è presentato davvero con una scaletta impegnata e ponderata è stato Edoardo Bennato qualche anno fa: durante l’esibizione la Rai ha interrotto le trasmissioni per mandare la pubblicità e un tg flash, quando hanno ripreso Bennato era già in doccia a bestemmiare – e poi ci sono le manifestazioni in tutte le piazze e le bandiere e i cori: la gente è lì per un motivo, non solo per la musica.
Sì, tutto bellissimo, perfetto. In questi casi non c’è niente di meglio che una carretta di buoni sentimenti e nobili intenzioni per aumentare il piacere; come per i profumi afrodisiaci: basta farli aleggiare e poi del resto che ci frega? L’importante è sentire la passione che sale, sentire le vibrazioni positive e poi buttarsi a capofitto, darci dentro con tutta la foga di cui si è capaci e finché ce n’è si va, dritti alla meta. Dio lo vuole! O era Berlinguer? Vabbè, è uguale.
Certo, alla fine poi si è stanchi, spossati, con strascichi evidenti e un po’ appiccicosi a dimostrare che qualcosa è davvero successo e la più classica delle facce da ebeti felici, anche se nel solito brevissimo e folgorante attimo di lucidità sovviene il dubbio che sia stato identico alla volta scorsa e che forse si poteva fare di più, essere più sul pezzo, trasformare quel tempo concitato in qualcosa che lasciasse un segno, chissà, magari una sensibilità nuova, un salto in avanti, codificare qualcosa di condiviso da tenere a mente per la prossima volta, ma è solo un istante; scusa tesoro, vado un attimo in bagno… Che ore sono? Diavolo, è tardissimo, domani la sveglia suona presto e bisogna andare a fare quel lavoro di merda sottopagato. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa!
Però senti, nell’aria, che serenità. Stanotte si dorme bene.






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